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L'assessore Sacchi va subito in scena al Parenti, con un progetto

Paola Bulbarelli

Il neo assessore alla Cultura si è presentato in un luogo informale dopo un periodo formativo di sette anni a Firenze. Vuole supervisionare il settore "da direttore artistico" e avverte sul bisogno di ripartire dopo 18 mesi di chiusure

La prima cosa che ha trovato entrando negli spazi lasciati vuoti dal predecessore è stata una fotografia in bianco e nero dei Bagni Misteriosi. Di certo non è stato per questo (piace viaggiare con la fantasia) ma Tommaso Sacchi, neo assessore alla Cultura dopo Filippo Del Corno, si è presentato a Milano in un incontro informale, organizzato dal Teatro Parenti in una delle sue sale. Luogo privato. “Ma non è un’anomalia – dice – considero questo posto, come tanti altri, un luogo privato mosso dalle intelligenze che hanno dedicato energie e competenze al suo successo, dunque lo reputo anche uno dei luoghi più pubblici che ci siano a Milano, aperto a tutti, una piazza capace di aggiungere un tassello alla vita culturale della città”. Un segno per il futuro. Chissà.

 

E’ di Milano, Sacchi, non fiorentino come capita di sentire. “Non prendiamo uno da Firenze, noi”, scherza orgogliosa Andrè Ruth Shammah mentre lo presenta “a casa sua”, dopo i sette anni passati, nello stesso ruolo, con Dario Nardella, a Firenze. Un ritorno a casa, in pratica. Con i tanti ricordi che lo legano a un luogo simbolo della città quale è il Parenti: “Sono entrato per la prima volta al Pierlombardo con mio padre, fotografo di scena per Moni Ovadia. Ricordo il retropalco con i mattoni e mi rimase impresso il non usare la scenografia come forma di limite della scena ma di considerare il teatro nella sua crudezza, è stato forse questo il mio primo approccio con il teatro”. Il lavoro svolto a Firenze gli ha fornito quelle competenze che ora può portare anche a Milano in uno scambio continuo di idee e contributi. “Questa città ha fatto passi da gigante su alcuni temi e su alcuni aspetti che guardano molto da vicino sia la rigenerazione urbana che la cultura. Sono arrivato da cinque giorni, prima voglio studiare tutto per entrare nel merito delle scelte. E poi convocare una conferenza dove tratteggiare le linee progettuali”.


Direttore artistico o politico di razza? “Politico di razza non mi piace come termine perché trovo che la politica sia molto bella e molto alta. Non arrivo da una militanza politica, non ho tessere di partito. Ma di una cosa sono certo, la decisione politica deve essere ferma in una città come Milano. E non voglio fare il direttore artistico/assessore, che forse mi verrebbe anche male. Il punto è un altro, Milano ha svolto un ruolo di straordinario protagonismo nell’innovazione urbana e nella rigenerazione, e deve continuare su questa strada. A Firenze tutti avrebbero voluto vivere in contesto culturale istituzionale come quello milanese perché si sentiva la fertilità di una città che andava a una velocità doppia rispetto a tutti gli altri capoluoghi”. Ora si deve ripartire. “Arrivo dopo 16/18 mesi di chiusure. Per la capienza al 100 per cento ci siamo battuti come leoni, ho messo insieme una rete di 12 assessori alla Cultura, tra i quali anche il mio predecessore, Del Corno, per fare pressione a livello di governo e istituzionale, per ridare dignità agli operatori della cultura. E ricominciare da qui, dal Parenti, serve a dimostrare un grande potenziale”.