(Foto sito Teatro Parenti)

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Aperto per l'estate. La sfida vinta dal Franco Parenti

Maurizio Crippa

Lo storico teatro milanese ha riaperto subito dopo il lockdown. Un'idea per tutti: portare la cultura dove non te l'aspetti

Chiudere i teatri, i musei, i luoghi di cultura è stata un’offesa al concetto stesso dell’uomo. È stata una riduzione dell’uomo”. Con la sua consueta passione, il suo coraggio delle idee, meglio se fuori mainstream, Andrée Ruth Shammah va subito al punto: che non è (solo) la sicurezza, che non è il virus, che non sono i soldi che mancano e i problemi che ci sono. È il teatro come lo intende lei, e non solo lei per fortuna (però pochi altri, questo bisogna dirlo). Il teatro come l’arte più pubblica, più sociale, più condivisa, inevitabilmente in presenza. Si poteva riaprire prima? Si potevano tenere aperti i teatri, le sale, durante l’estate? Si poteva raccogliere la richiesta silenziosa – ma anche rumorosa – delle persone, del pubblico, che non vedevano l’ora di tornare a teatro? Insieme. In presenza. Sì, si poteva.

  

“Se l’abbiamo fatto noi, il Franco Parenti, un teatro piccolo, privato, vuole dire che si poteva fare”. Lo dice senza criticare nessuno, dialogando con un po’ di giornalisti distanziati sulla terrazza vista Bagni di via Pier Lombardo. Ma con gli occhi pieni di contentezza per una scommessa vinta. Che sta nei numeri. Il Franco Parenti ha tenuto aperto tutto il possibile (e persino prodotto nuovi spettacoli) in questa estate di Covid: 4.200 ingressi in sala, 5.200 per l’Arena estiva dei Bagni Misteriosi; 1.500 per “I Camios”, l’idea di teatro itinerante – due furgoni che diventavano un palco – che ha girato e sta girando ancora la Lombardia (con l’aiuto della Regione). In più, 55.000 utenti alla balneazione. Fanno quasi 66.000 persone che sono uscite di casa, che hanno fatto socialità e cultura.

  

Tutto questo (non lo dice lei ma ci pensiamo noi) in una città in cui i cinema restano vuoti e in cui i teatri, da quelli di repertorio ai piccoli off, o non hanno riaperto, o lo hanno fatto a spot, o hanno deciso di spostare in là, verso fine 2020, la stagione (i bilanci, la seconda ondata…) è un segnale importante. Andrée Ruth Shammah non è donna che perda tempo per sentirsi dire brava. Quel che le interessa è lanciare un messaggio al mondo del teatro (e alle istituzioni, si parva licet) e a tutti, e ancor più indicare un metodo. Tenere chiuso non salverà i bilanci, ucciderà solo le compagnie. Tener chiuso non ci rende sicuri, ci toglie vita. Il teatro – la cultura in generale – non è un cartellone, è un fenomeno di partecipazione.

  

Il virus c’è, toccherà conviverci. Ma senza morire chiusi, perdendo quella che è una componente essenziale di una cultura sociale, civica, così forte in una città in cui Paolo Grassi diceva: il problema non è se costruire ospedali o teatri, ma di costruire ospedali e teatri. E tutto questo in una città che, nonostante gli sforzi di tante istituzioni, musei, luoghi di musica, associazioni, ha l’aria depressa e sembra non avere idee vincenti. Una città il cui assessore alla Cultura, Filippo Del Corno, ha annunciato con dieci mesi d’anticipo che lascerà la politica, aprendo un lungo semestre bianco; una città la cui massima espressione culturale dopo la Scala, il Piccolo Teatro Strehler, è attualmente, da prima dell’estate, sede vacante, in attesa che meccanismi forse ormai troppo ingarbugliati di politica e rappresentanze cavino il nome del nuovo direttore artistico.

 

Il segnale lanciato dal Franco Parenti, che ha già annunciato anche parte del nuovo programma, che va in scena da subito, senza soluzione di continuità, è quello che ci vuole non solo passione, ma anche una visione e una capacità di rischio, di coinvolgimento. Così Shammah e i suoi collaboratori hanno spinto a trovare idee, hanno offerto il palcoscenico ai giovani, si sono sentiti dire pure dei no da artisti che preferivano “non rischiare”, ma il segnale è stato dato. Non ha nessun timore di passare per negazionista, Shammah, anzi. Che per la cultura era un delitto chiudere lo diceva anche quando chiusi si doveva stare per forza. Il Parenti ha fatto di tutto e di più per la sicurezza, quattro entrate, i posti grossomodo dimezzati, il plexiglas, tutto quel che si poteva fatto all’aperto, nella splendida arena dei Bagni Misteriosi. E mascherine, mascherine vere per tutti.

 

“Ma si poteva fare”, dice, perché “il teatro e tutto ciò che è cultura è una cosa viva, fatta di persone. Non avete idea dei volti delle persone che sono venute: famelici. Sì, famelici di poter ricominciare”. Il senso, forse, è che in un momento in cui i soldi per la cultura sono pochetti, anziché lamentarsi bisogna cercare strade nuove, e provarci. Ma è ora di tornare dal vivo, di distanziamento digitale, alla fine si muore.

 

Delle cose fatte, del nuovo programma, i lettori possono trovare tutto sul sito del Parenti (formule speciali incluse). Si comincia il 9 con un volto noto, Lino Guanciale (“Fuggi la terra e le onde”) e il 15 con un nome storico, Corrado Tedeschi, in “Note in bianco e nero - Il genio bianco Bill Evans alla corte di Miles Davis”). Vale la pena però citare l’esperimento molto riuscito di “I Camios”, il palco itinerante del Teatro Franco Parenti in viaggio in alcuni comuni lombardi con lo spettacolo “Eccoci, è il momento di riaprire” con giovani comici e musicisti. Un’idea, quello del palco itinerante, che era venuta quest’estate anche a Giacomo Poretti e al suo neonato Teatro Oscar, col suo MotoTeatro in Apecar. Anche qui un successo, che significa, forse, che il destino del teatro è tornare dove è nato, fuori, in mezzo ai cortili, alle piazze e alla gente. Anziché lanciare appelli alla cultura, portarla dove non ti aspetti.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"