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Gran Milano

Milano, l'agorà rissosa. Ritratto politico del Sala bis

Fabio Massa

Nel nuovo Consiglio un Pd con meno correnti. Sul resto c’è aria di risse old style 

Se sarà un minestrone o una polveriera lo dirà il tempo. Certo è che i nuovi assetti del Consiglio comunale di Milano destano un certo interesse. Prima di tutto c’è un sostanziale riequilibrio tra le correnti. Cinque anni fa venne eletto un consiglio a forte trazione sinistra Pd, i “Majoriniani”, dal leader territoriale Pierfrancesco Majorino, oggi europarlamentare: erano la pattuglia più grossa dell’ortodossia zingarettiana. C’erano poi anche gli zingarettiani non ortodossi, i “falsi nueve” dello zingarettismo, come gli ex renziani che si erano avvicinati al governatore laziale. Cinque anni dopo, il gruppo dominante è figlio della dirigenza Pd locale, che si riconosce in Silvia Roggiani, che ha in Regione Pietro Bussolati, in parlamento Lia Quartapelle e in Giunta – appena riconfermato e non umiliato – Pierfrancesco Maran. L’altro gruppo forte è comunque quello che si riconosce in Majorino, e che elegge – tra gli altri – nei primi sei più votati l’ex presidente del consiglio Lamberto Bertolé e Diana De Marchi. E le altre molteplici correnti dem? Quasi sparite.

 

Sì, c’è ancora il gruppo di Matteo Mauri, gli ex penatiani, con Bruno Ceccarelli, al numero 17. Franco Mirabelli difende con i denti Arianna Censi, meritatamente divenuta assessore ai Trasporti per la competenza e l’abnegazione dimostrata da vicesindaco metropolitano. Poi c’è Filippo Barberis, di Base Dem, la corrente di Guerini. Anche lui eletto ma non assessore. In effetti, il sistema correntizio interno al Pd è ai suoi minimi storici, e gli analisti della microfisica del potere meneghino avranno meno da divertirsi nella prossima spartizione di presidenze di commissione, presidenza del consiglio comunale, nomine di capigruppo e altre amenità simili.


Più difficile invece sarà la gestione delle marcate differenze tra cattolici e progressisti. Come faranno ad andare d’accordo su temi etici assai divisivi (sui diritti non c’è problema: sono tutti d’accordo) uno come Marco Granelli, cattolico e uno come Michele Albiani, decisamente progressista e simbolo dichiarato della comunita Lgbt? O come potranno andare d’accordo Diana De Marchi e Roberta Osculati? E questo solo per rimanere nel Pd. La pattuglia dei cattolici è infatti ben nutrita, e anche in altri schieramenti: Matteo Forte e Deborah Giovanati sono tra questi.

C’è poi la pattuglia degli ambientalisti radicali. Un esempio? Marco Mazzei, che vorrebbe mettere al bando tutte le auto. Coerentemente ha fatto la sua campagna elettorale in bici. Ci sono poi Alessandro Giungi – contrarissimo all’abbattimento di San Siro – così come il primo degli eletti dei Verdi, Carlo Monguzzi. A questo punto bisognerà capire come riuscirà a mediare in giunta Elena Grandi, assessore all’Ambiente ed esponente proprio dei Verdi in cui milita Monguzzi. Il sindaco si dice certo che una quadra si troverà, ma il primo banco di prova è il Meazza, e lo sanno tutti quanti.


Non ci sono solo le contraddizioni interne alla maggioranza, però. Anche l’opposizione ha una pluralità di teste. Per una come Chiara Valcepina, della destra radicale (finita nella narrazione sul Barone Nero), in Fratelli d’Italia c’è anche un moderato come Andrea Mascaretti (che infatti arriva da Forza Italia). In Lega, per una pasionaria come Silvia Sardone c’è anche una moderata “draghiana” come Annarosa Racca. In Forza Italia su tre consiglieri ci sono tre correnti: Alessandro De Chirico, da sempre in gruppo con Gallera, Marco Bestetti, che arriva dalla cantera di zona 7, e Gianluca Comazzi, segretario regionale. I tre andranno d’accordo? Difficile. Anzi: conoscendo la litigiosità interna degli azzurri milanesi, la pace rasenta l’impossibile. Primo test la scelta del capogruppo, che non sarà né semplice né indolore.

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