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GranMilano

Sette tipi di famiglie in città. Dati da una demografia difficile

Giovanni Seu

Oltre un milanese su due vive da solo. "E Milano fa da capofila ai trend nazionali", spiegano i ricercatori dell'Università Cattolica

Single, senza figli, tendenzialmente egoista. E’ l’identikit, un po’ impietoso, che emerge dai dati elaborati dal Sistema statistico integrato del Comune sulla famiglia milanese. O meglio sulle famiglie, perché l’indagine relativa al 2020 ne individua almeno sette tipologie e colloca in testa quella monocomponente con 402.897 unità su 754.402 complessive. Numeri che dicono una cosa chiara: oltre un milanese su due vive da solo. Una realtà che per Elisabetta Carrà, sociologa e responsabile del Centro di ateneo studi e ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica, ha tre spiegazioni principali: “Milano fa da capofila rispetto alle tendenze nazionali” spiega al Foglio. “E’ una città attrattiva per le professioni e lo studio: arrivano giovani che fanno vita da soli. Poi c’è il fenomeno dell’invecchiamento che è più accentuato rispetto al resto dell’Italia e le separazioni e i divorzi”.

 

Se lo scenario è questo non sorprende che i matrimoni si contino con il contagocce: non arrivavano ai tremila nel 2019 e sono crollati a poco più di 1.500 lo scorso anno segnato dal Covid. Particolare da non sottovalutare, solo il 20 per cento sono religiosi, gli altri sono civili. Altro dato interessante riguarda le separazioni e i divorzi che non hanno risentito della pandemia arrivando lo scorso anno a oltre 1.800, ben 300 in più rispetto ai matrimoni. Ma non è tutto, se si scappa dalle nozze non ci si rifugia neppure nella convivenza, la scelgono solo 11.445 coppie: “In passato dopo la vita in famiglia si passava direttamente a quella di coppia – spiega Carrà – oggi sta aumentando la tendenza, nata nel nord Europa, ad andare a vivere da soli prima di vivere assieme al partner. Ciò non significa che non si vivano relazioni sentimentali, si portano avanti ciascuno restando nella propria casa: è il fenomeno del living apart together che deriva dalla difficoltà di rendere stabili i legami che diventano fluidi”.

 

L’altro spauracchio si chiama figli. Dal 2016 a oggi il censimento evidenzia ogni anno il segno meno, in quattro anni si è passati da 11.326 a 9.129, lo scorso anno per la prima volta si è scesi sotto quota 10 mila, pochi per una città che nello stesso periodo in esame ha registrato una crescita della popolazione arrivando a un milione e 400.000 residenti. Persino nelle coppie sposate, più propense almeno sul piano progettuale ad una relazione duratura, si nota come ben 88.632 non hanno figli contro le 119.132 che hanno deciso di allargare la famiglia: “In questi dati bisogna considerare le coppie anziane i cui figli ormai grandi sono andati via da casa – precisa la sociologa – E’ vero comunque che il calo della natalità è drastico, le cause vanno individuate non tanto in un atteggiamento egoistico di massa quanto nella carenza di politiche familiari e in un aspetto culturale che trova notevole diffusione in città al punto da avere conquistato anche le famiglie straniere: la famiglia con i figli non è considerato un obiettivo piacevole e tantomeno in grado di aumentare il benessere”.

 

Due elementi completano questa analisi. Il primo è già presente, seppure con dimensione ancora embrionali: si tratta delle famiglie omogenitoriali, coppie dello stesso sesso con figli. L’altro riguarda gli effetti prodotti dallo smart working, dalla Dad, che potrebbero modificare l’entità delle famiglie, in modo particolare le famiglie monocomponenti, con il trasferimento nell’hinterland o anche al Sud. Bisognerà aspettare un po' di tempo per valutarne la portata.

 

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