(Lapresse)  

GranMilano

Se Milano deve tornare a correre, non è meglio togliere un po' di quelle assurde ciclabili?

Paola Bulbarelli

I progetti, spesso sconclusionati e pericolosi, delle piste ciclabili strozzano il traffico invece di migliorarlo. Milano non è esattamente Copenhagen

La giunta di Beppe Sala ha presentato in pompa magna il rifacimento di piazzale Loreto, uno degli snodi più congestionati della città, che diventerà “una grande agorà verde, anello di congiunzione tra corso Buenos Aires e via Padova”. E già ad “agorà verde”, un brivido automobilistico (cioè di chi a Milano viene per lavorare) corre nella schiena. Tranquilli, sarà bellissima la nuova Loreto, e del resto per Sala è uno dei progetti chiave del prossimo mandato. Ma a leggere che “il traffico verrà posto ai margini della piazza per favorire gli spostamenti ciclabili e pedonali all’interno dell’area e la penetrazione tra i diversi assi strada”, peggio ci sentiamo.

 

 

Perché c’è anche questo, in questa rivoluzione della viabilità e mobilità urbana che il Covid ha accelerato a mille: un po’ di esagerazione, di forzatura a senso unico. Caro sindaco Sala, caro assessore alla Mobilità Granelli, vorremmo obiettare, ai vostri progetti di trasformazione a tappe forzate (cioè ad esempio prima che siano pronte le metropolitane), che vi manca un po’ del senso civico, della leggera grazia di re Federico IX di Danimarca, il re del dopoguerra. Ci sono le sue foto nei rotocalchi d’epoca: splendido, umano e signorile sulla sua bicicletta. Pedalava come tutti i cittadini di Copenaghen. Dava l’esempio, perché i danesi avevano pochi dané, non ce n’erano per per comperarsi l’automobile. 

 

Ora invece la bici, per non dire il monopattino elettrico (che però ha già annoiato, come il frisbee in spiaggia: in giro se ne vedono di meno) da necessità urgente per la mobilità “in sicurezza” durante la pandemia rischia di diventare un’imposizione, che se gestita male, altro che città in 15 minuti. Renderà la vita peggiore per molte persone. Certamente la bici fa tanto bene alla salute, ma ora, inversamente all’epoca di re Federico, è un toccasana per quei pochi, non diremo ricchi (ma ce ne sono tanti) e fortunati che possono permettersi trasferte sulle due ruote senza dover usare l’automobile, il furgone o il motocarro. 
Il mezzo di trasposto per progressista da Ztl, diciamolo pure. Sennonché ora ci siamo, la città riparte. La Milano vaccinata sta per riprendere quota dopo il pantano pandemico. Il coraggio di ricominciare.

 

Ma è anche una Milano che invece d’andare a mille rischia di frenare: può ingranare solo la prima perché già in seconda va oltre i 30 chilometri prescritti, in concomitanza di quelle ciclabili infernali che hanno tolto lo sprint a una città che va sempre di corsa. E siamo ancora a metà regime, se non di meno. E’ spontaneo chiedersi se a settembre – con le scuole che riapriranno, i negozi, i ristoranti e i bar senza coprifuoco, l’immenso ciclo fieristico che speriamo ricominci e che moltiplica il traffico per la città, la riduzione dello smart working, i pendolari che entreranno in città, operai e artigiani a riprendersi i cantieri – sarà igienico e logico mantenere questo regime di lockdown stradale, spacciandolo per unica mobilità (etica per giunta) del futuro.

 

Il progetto di riqualificazione di Loreto, a esempio, ha tutta l’aria di bloccare fuori dalla città quelli che ogni giorno vi dovrebbero entrare (per lavorarci)  venendo da nord-est. Che c’entra per la Milano olimpica del 2026 un piazzale così rimaneggiato? Resta nelle orecchie la fumosità di parole illusorie e inconcludenti, Granelli evoca “una mobilità integrata con un nuovo equilibrio tra pedoni, bici, moto e auto”. Sarebbe forse quella di corso Venezia, di corso Buenos Aires, di via Fatebenefratelli? I parcheggi sono fatti in modo che l'apertura della portiera a destra può essere causa di incidenti gravi. E un automobilista che svolta a destra, magari non di Milano e poco informato, rischia di travolgere  cicli e monopattini proprio sulla loro pista.

 

Riccardo De Corato, che di certo è uno che Milano la ama alla follia, sulla questione è andato in procura: “E’ una vergogna per Milano – dice l’assessore regionale ma con il cuore in città – stanno massacrando le strade. Ho saputo da agenti della polizia locale che non c’è nemmeno un progetto di viabilità, parlando di ciclabili. Come in via Saint Bon, dove coprono le insegne stradali per non far vedere che hanno sbagliato. Tolgono posti macchina, fanno incazzare i residenti. Ogni percorso ciclabile ha una sua storia di problemi che va a scatenare. Via Inganni è l’ultima, abbiamo anche raccolto centinaia di firme contro il nuovo restringimento”. De Corato sarà anche un oppositore, ma pensando alla città che deve ripartire, l’impressione è che strettoie e frenate non piacerebbero nemmeno a re Federico.