Gran Milano

Ariosto Social Club. Nel deserto di Milano c'è chi scommette su nuovi concept hotel

Fabiana Giacomotti

C’è qualcuno che ci riporta all’hotellerie dei tempi migliori. Quelli, cioè, in cui per andare a cena nel ristorante stellato di un albergo non si deve prenotare anche la notte

Valeria Benatti, storica conduttrice di Rtl 102.5 che condivide col fratello Marco una profonda conoscenza dei meccanismi pubblicitari, disruption e cambi repentini di vita compresi, apre oggi in via Ariosto la boutique eco-solidale di un nuovo apartment hotel con parrucchiere, palestra e bistrot annessi. L’ha battezzato Ariosto Social Club, come il leggendario Buena Vista musicale cubano, ma dopotutto Valeria ha sempre avuto il cuore a sinistra e l’occhio imprenditoriale, e dunque nel “suo” hotel venderà tutto, mobili di design compresi per chi non volesse abbandonare il letto dove ha dormito. Per il momento, però, proporrà su appuntamento solo oggetti di natura o scopi sostenibili, come la linea di borse della coop del carcere di Opera, “Borseggi”, i cappelli pensati per affiancare le cure oncologiche e accessori recuperati da pneumatici. Finanzia con 7 milioni di euro l’immobiliarista Emanuele Vitrano Catania, fondatore del gruppo Brera Hotel, che ha venduto nel 2018 per dedicarsi, appunto, alla formula degli affitti brevi, nelle attività stagionali con il Punta Scario Resort a Salina e al cosiddetto “senior housing”, cioè agli alloggi di comfort per anziani, che temiamo sarà una delle branche dell’immobiliare in Europa nei prossimi trent’anni.

  

L’Ariosto Social Club dovrebbe diventare l’attrattiva, mediaticamente spendibile e rilevante, delle nuove attività. In tempi di Covid, ci sembra una notizia fantastica, per non dire della resilienza di cui dà prova la zona Magenta che fino a ieri ci sembrava quanto di più vecchio borghese ci fosse a Milano e forse nel nord Italia. Dunque, mentre a duecento metri da lì, proprio in corso Magenta, prosegue la battaglia legale fra la proprietà e i gestori dell’hotel King Mokinba che si è candidato a trasformarsi in Covid hotel e noi stentiamo a capire come potrebbe volare il virus dalle finestre sigillate dell’albergo all’aula Olgiati dell’Università Cattolica di via sant’Agnese dove trent’anni fa sostenemmo l’esame di filologia romanza, c’è qualcuno che ci riporta all’hotellerie dei tempi migliori. Quelli, cioè, in cui per andare a cena nel ristorante stellato di un albergo non si deve prenotare anche la notte, secondo la formula della staycation che, a occhio e croce, costa agli albergatori più di quanto renda. A Milano la sta praticando, per esempio, il Gallia. L’Armani Hotel, invece, non ha ancora deciso quando riaprire.

 

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