genocidi e giustizia

I tribunali italiani alla prova dell'antisemitismo. Due casi di scuola, molto deprimenti

Iuri Maria Prado

Due ordinanze hanno assolto i responsabili di propaganda antisemita argomentando che quegli insulti dovrebbero considerarsi legittimi perché la Corte internazionale di Giustizia ha ritenuto “plausibile” l’esistenza del genocidio del popolo palestinese (cosa, in realtà, mai detta)

Si tratta per ora di provvedimenti provvisori e revocabili: ma già due ordinanze emesse da giudici italiani, occupandosi di casi di propaganda antisemita, hanno assolto i responsabili argomentando che quegli insulti dovrebbero considerarsi legittimi perché la Corte internazionale di Giustizia ha ritenuto “plausibile” l’esistenza del genocidio, per responsabilità di Israele, del popolo palestinese (è successo al Tribunale di Milano). La cosa dovrebbe sorprendere almeno per due motivi.

 

Primo: perché la Corte dell’Aia non ha mai detto che è plausibile l’esistenza del genocidio. Ha semmai detto, come ha dovuto precisare la presidente della Corte, Joan E. Donoghue, che è plausibile che il Gruppo palestinese goda dei diritti protetti dalla Convenzione contro il genocidio; e ha poi detto che è plausibile che il Sud Africa abbia il diritto di denunciare il pericolo di violazione di quei diritti. Cose completamente diverse, dunque, sulla scorta della doppia precisazione, sempre evocata dalla presidente Donoghue, che la Corte non solo non si è ancora pronunciata, ma neppure poteva pronunciarsi, in quella sede preliminare, sulla fondatezza dell’accusa sudafricana.

 

Ma il fatto che, contro queste plateali evidenze, la inesistente e mai dichiarata “plausibilità” del genocidio si incarti, in vernacolo giudiziario, in alcune ordinanze di casa nostra, dovrebbe poi sorprendere appunto per quest’altro motivo: e cioè perché è la prosa togata, non lo slogan da corteo, a propalare certe inesattezze (chiamiamole, sofficemente, così). Solo che tutto questo, in realtà, non sorprende.  Se il falso si accredita nella società e presso l’opinione pubblica, allora una giurisprudenza pigra, che dell’una e dell’altra è dopotutto una delle tante espressioni, finisce per fare propria e riproporre quella contraffazione. La quale a quel punto si rinvigorisce per la presunta autorevolezza della fonte: da “c’è scritto sul giornale” a “l’ha detto il tribunale”.

 

Che la cosa non riguardi la disciplina degli spazi condominiali o l’adeguatezza delle piste ciclabili, ma una specie di riedizione dei Protocolli dei Savi di Sion con legittimante fascetta democratica, è un dettaglio che non dovrebbe sfuggire a chi fa le mostre di sorvegliare con preoccupazione gli andazzi civili del Paese. Salvo credere che si tratti solo di attendere, con equanime disponibilità al nuovo che avanza, il provvedimento che assolve l’incendio della sinagoga perché dopotutto gli ebrei hanno ucciso Dio.

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