Il verdetto

La sentenza della Consulta sul caso Esposito può essere un freno allo strapotere delle toghe

Ermes Antonucci

Nei prossimi giorni la Corte costituzionale si pronuncerà sulla vicenda dell'ex senatore Esposito, intercettato 500 volte dalla procura di Torino senza alcuna autorizzazione del Parlamento

Nei prossimi giorni la Corte costituzionale, nell’indifferenza abbastanza generale, pronuncerà la sua sentenza su una vicenda fondamentale per la tutela dell’indipendenza del Parlamento dallo strapotere della magistratura, e dunque sul corretto funzionamento della nostra democrazia. Il caso è quello, già raccontato su queste pagine, che vede protagonista Stefano Esposito, ex senatore del Pd dal 2013 al 2018. Per tre anni, gli ultimi del suo mandato da senatore, Esposito è stato intercettato indirettamente circa 500 volte dalla procura di Torino, senza alcuna autorizzazione del Parlamento come invece richiederebbe la Costituzione (articolo 68).

 

Indagando su un imprenditore attivo nel settore dei concerti (a sua volta intercettato addirittura 24 mila volte), i pm di Torino – Paolo Toso e Antonio Smeriglio prima, Gianfranco Colace poi – giunsero a intercettare indirettamente Esposito, continuando a farlo nonostante questi dopo tre settimane fosse stato già identificato come parlamentare e interlocutore abituale dell’indagato, di cui era amico d’infanzia. Alla fine le conversazioni riguardanti Esposito intercettate furono circa cinquecento, di cui 126 ritenute rilevanti ai fini delle indagini. 

 

Proprio sulla base di queste 126 intercettazioni, Esposito è stato rinviato a giudizio per turbativa d’asta, corruzione e traffico di influenze illecite, senza che né il pm Colace né la giudice Lucia Minutella si rivolgessero prima al Senato per chiedere l’autorizzazione a utilizzare le captazioni. Un fatto mai avvenuto prima, che ha spinto il Senato a sollevare un conflitto di attribuzioni tra poteri dello stato di fronte alla Corte costituzionale. Lo scorso 21 novembre la Consulta ha celebrato l’udienza sul caso e la sentenza è attesa a breve.

 

Lo sfacelo compiuto dalle toghe torinesi appare così evidente che tutto lascia pensare a un verdetto favorevole a Esposito. Basti pensare che Pietro Grasso, ex magistrato, da presidente della giunta per le immunità del Senato si spinse a segnalare la vicenda al ministro della Giustizia e alla procura generale della Cassazione per valutare l’apertura nei confronti dei magistrati di Torino di un procedimento disciplinare, cosa poi effettivamente avvenuta. 

 

Insomma, dopo la sentenza dello scorso luglio sul caso che coinvolse Matteo Renzi, la Consulta potrebbe pronunciare nuovamente una sentenza favorevole al rafforzamento delle prerogative dei parlamentari, contro le invasioni di campo dei magistrati. In quell’occasione la Corte costituzionale accolse il conflitto di attribuzione proposto dal Senato nei confronti della procura di Firenze nell’ambito dell’inchiesta sull’ex fondazione Open. I giudici stabilirono che i messaggi elettronici (come chat WhatsApp o email) scambiati da un parlamentare sono riconducibili alla nozione di “corrispondenza” tutelata dall’articolo 68 della Costituzione. Tradotto: quando i magistrati sequestrano smartphone o dispositivi elettronici di terze persone e riscontrano la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, devono sospendere l’estrazione di questi messaggi e chiedere l’autorizzazione del Parlamento. 

 

Una decisione ben diversa da quella con cui la Corte  ha ammesso l’uso delle intercettazioni  contro l’ex deputato Cosimo Ferri. In questo caso le captazioni, seppur chiaramente indirizzate a intercettare Ferri, sono state ritenute legittime perché l’allora deputato non era iscritto nel registro degli indagati. Una motivazione piuttosto debole, che infatti ha spaccato la Corte. La speranza è che su Esposito torni a prevalere l’attenzione sull’importanza del libero esercizio del mandato parlamentare.