il caso

Intercettato 24 mila volte dai magistrati: il record dell'imprenditore Muttoni

Ermes Antonucci

"Come ci si sente? Non vorrei dire come Pablo Escobar, ma quasi. Di certo ci si sente un po’ perseguitati". Parla Giulio Muttoni, captato per tre anni dai pm di Torino e ancora in attesa di giudizio

"Come ci si sente a essere intercettati 24 mila volte? Non vorrei dire come Pablo Escobar, ma quasi. Di certo ci si sente un po’ perseguitati. Le intercettazioni dovrebbero servire a confermare il reato. Nel mio caso invece mi sembra che i pm siano andati alla ricerca del reato, perché 24 mila conversazioni in tre anni sono veramente tante. Sinceramente non pensavo neanche di averne tenute così tante”. A parlare, intervistato dal Foglio, è Giulio Muttoni, noto imprenditore dello spettacolo, travolto nel 2015 da un’inchiesta condotta dalla procura di Torino che si sta rivelando essere uno dei casi giudiziari più assurdi degli ultimi anni. Un caso di studio  perfetto per il ministro della Giustizia Carlo Nordio.

 

A fornire il dato incredibile delle 24 mila intercettazioni è stata la stessa procura di Torino, che ora si ritrova davanti alla Corte costituzionale (udienza il prossimo 21 novembre) con l’accusa di aver violato le prerogative dei parlamentari: tra le 24 mila intercettazioni, 500 coinvolgono infatti Stefano Esposito, amico fraterno di Muttoni e all’epoca dei fatti (2015-2018) senatore, dunque non intercettabile senza l’autorizzazione del Parlamento. Le anomalie del caso Esposito sono già state raccontate su queste pagine, e sono anche finite all’attenzione della procura generale della Cassazione, che ha aperto un procedimento nei confronti dei due magistrati autori dell’evidente violazione della Costituzione (il pm Gianfranco Colace e la gip Lucia Minutella).

 

L’inchiesta, però, ha avuto inizio proprio da Muttoni, patron di Set Up, società promotrice di grandi eventi musicali. Nel 2014 gli inquirenti aprono un’indagine sull’azienda ipotizzando addirittura condizionamenti da parte della criminalità organizzata. Tutto ciò perché alcuni soci hanno ceduto biglietti omaggio a soggetti che poi si sono scoperti essere esponenti della ‘ndrangheta locale. Tanto basta alla prefettura di Milano per emettere nel 2015 un’interdittiva antimafia contro Set Up, poi rinnovata dalla prefettura di Torino, competente per territorio. Lo scorso agosto, dopo otto anni, l’indagine incentrata sull’accusa di associazione mafiosa è stata archiviata, soltanto grazie all’insistenza dell’avvocato Fabrizio Siggia, legale di Muttoni, che si è rivolto alla procura generale per sapere che fine avesse fatto l’indagine, rimasta pendente al di fuori di ogni termine stabilito dalla legge.

 

Nel frattempo i danni sono stati irreparabili. “L’interdittiva è stata la mia rovina – racconta Muttoni – All’epoca la società fatturava circa quindici milioni di euro, poi è stata completamente azzoppata. Sono stato costretto a chiudere anche le altre società”. A causa dell’indagine, infatti, anche un’altra azienda gestita da uno dei soci di Set Up, la Crew Investigazioni, è stata inserita nella “black list” dalla prefettura di Biella. Quest’ultima, alla luce dell’archiviazione, ha ora deciso di annullare l’interdittiva. La prefettura di Torino, invece, inspiegabilmente non intende fare passi indietro su Set Up, nonostante nel frattempo sia cambiato anche tutto l’assetto societario. “Persino la procura ha deposto le armi, ma loro no. Queste interdittive sono un ergastolo, ancora adesso continuano a bloccarmi”, dice Muttoni. 

 

E’ sulla vicenda dell’interdittiva antimafia che nel 2015 si è innestato il filone di indagine per presunta corruzione, turbativa d’asta e traffico di influenze illecite che ha finito per coinvolgere anche Esposito, all’epoca senatore del Pd. Nell’ipotesi dei pm, Esposito si sarebbe attivato proprio per aiutare il suo vecchio amico a superare il problema delle interdittive. Per cercare le prove di questo teorema, i pm hanno intercettato Muttoni 23.738 volte. Una cifra esorbitante. “Non voglio immaginare l’aggravio sulle casse dello stato determinato da questa attività di captazione”, dichiara l’avvocato Siggia. In certi casi, i magistrati hanno intercettato indirettamente anche Esposito. Non una o due volte, quindi casualmente, ma ben 500 volte, e ciò pur sapendo che Esposito fosse senatore e che dunque occorresse l’autorizzazione della Camera di appartenenza. Per queste ragioni, il Senato ha avanzato un conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. 

 

Intanto il processo è stato spostato a Roma per competenza territoriale e dopo otto anni deve ancora cominciare. “La mia ‘fortuna’ è che ho settant’anni, grazie a Dio la mia vita l’ho fatta – dice Muttoni – Avessi avuto l’età del mio amico Stefano mi sarei trasferito in Australia per tutti i danni reputazionali, economici e sociali. Quattro-cinque anni fa quando camminavo per strada la gente si precipitava per venirmi a salutare. Adesso si buttano dall’altra parte per non salutarmi. Per non parlare di mia figlia, costretta a leggere gli articoli di giornale che mi accostano alla ‘ndrangheta”. “Ora spero che parta questo processo, così almeno prima di morire potrò essere giudicato”, conclude Muttoni.