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I pm perquisiscono i servizi segreti per l'agenda rossa di Borsellino. Trent'anni dopo

Ermes Antonucci

I magistrati di Caltanissetta si sono recati all'Aisi per perquisire l'ufficio dove lavora una delle figlie dell’ex capo della squadra mobile di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto nel 2002 e sospettato di aver acquisito illecitamente l'agenda del magistrato

La procura bussa a casa dei servizi segreti. Nei giorni scorsi alcuni quotidiani hanno riportato le ultime novità sull’eterna ricerca dell’agenda rossa di Paolo Borsellino: la procura di Caltanissetta lo scorso settembre ha fatto perquisire le case dei famigliari di Arnaldo La Barbera, l’ex capo della squadra mobile di Palermo morto nel 2002. La moglie e una delle figlie dell’ex questore palermitano sono indagate con l’accusa di ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia: i pm nisseni sospettano infatti che abbiano avuto per anni la disponibilità dell’agenda ipoteticamente acquisita illecitamente da La Barbera. Ciò che non è stato riportato, e che il Foglio è in grado di rivelare, è che nell’ambito di queste perquisizioni i magistrati di Caltanissetta si sono spinti persino a entrare nella sede dell’Aisi, cioè i servizi segreti interni. E’ lì, infatti, che lavora la figlia indagata di La Barbera. Una forzatura non da poco sul piano istituzionale. Ad ogni modo, come riferiscono fonti qualificate dell’Aisi, la perquisizione da parte della polizia giudiziaria, alla presenza dei pm di Caltanissetta, si sarebbe svolta “in un clima di collaborazione e serenità”.

 

La vicenda, tuttavia, è emblematica della tendenza della magistratura a utilizzare tutti i poteri a disposizione pur di trovare prove a conferma dei propri teoremi, senza tanto badare a questioni di opportunità istituzionale. L’idea che, a distanza di oltre trent’anni dall’uccisione di Borsellino, i famigliari di colui che inizialmente coordinò l’indagine sulla strage di Via D’Amelio, possano conservare nelle proprie case – se non addirittura nel proprio ufficio presso la sede dei servizi segreti – documenti scottanti sulla sorte dell’agenda rossa del magistrato, è a dir poco singolare. Così come in fondo è singolare la convinzione che l’agenda rossa sia stata necessariamente fatta scomparire, quando nulla esclude che essa sia andata distrutta proprio nell’attentato del 19 luglio 1992.

 

A quanto risulta, a far scattare le perquisizioni nei confronti dei famigliari di La Barbera sarebbero state le rivelazioni di un misterioso “testimone”. In sostanza, una persona avrebbe riferito ai pm che un terzo soggetto nel 2018 gli avrebbe raccontato che la famiglia La Barbera voleva collocare altrove l’agenda rossa, di cui si ipotizza ancora l’esistenza. Insomma, un groviglio di voci di terza mano e teoremi, che però hanno portato alle perquisizioni di due mesi fa, durante le quali – sorpresa – l’agenda rossa non è stata trovata. 

 

Del resto, Arnaldo La Barbera rappresenta ormai la miglior figura attorno alla quale costruire un’indagine senza un briciolo di prova. Tre poliziotti che facevano parte del suo gruppo a Palermo sono stati processati (ma assolti) per quello che è stato definito il più grande depistaggio della storia d’Italia: quello sulle indagini sulla strage di Via D’Amelio, in cui morirono Borsellino e cinque agenti della sua scorta. I tre poliziotti erano accusati di calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra e, in particolare, di aver contribuito – su spinta di La Barbera – a “costruire” il falso pentito Vincenzo Scarantino, le cui dichiarazioni portarono alla condanna all’ergastolo (poi annullata) di sette persone innocenti, che non avevano avuto alcun ruolo nella strage. Secondo il tribunale di Caltanissetta, La Barbera non agì per favorire la mafia, ma più che altro per “finalità di carriera”. Di fronte all’assoluzione dei tre poliziotti, i pm nisseni hanno deciso di concentrare di nuovo l’attenzione proprio su La Barbera, avviando altri filoni di indagine, dedicati anche alla sorte dell’agenda rossa. 

 

L’ostinazione della procura di Caltanissetta riporta alla mente le iniziative della procura di Firenze, che ha aperto un’indagine a carico di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri, accusandoli di essere i mandanti esterni delle stragi di Cosa nostra nel biennio 1993-94. Anche in questo caso, sulla base di dichiarazioni di dubbia attendibilità su un presunto investimento compiuto negli anni Settanta dal nonno di Giuseppe Graviano nell’attività di Berlusconi, i pm hanno deciso di far perquisire le abitazioni di alcuni famigliari di Graviano, alla ricerca – dopo quarant’anni – di una “carta privata” che proverebbe l’investimento a favore di Berlusconi. Una giustizia a rilento, in balìa di misteri e teoremi che è arrivata fino alle stanze dei nostri servizi segreti.