il fascicolo a forlì

Cosa non torna nell'inchiesta per corruzione nei confronti di Minenna

Ermes Antonucci

Le accuse nei confronti dell'ex dg delle Dogane risultano piuttosto evanescenti, soprattutto per quanto riguarda le finalità per le quali egli avrebbe asservito la sua funzione pubblica agli interessi dell'imprenditore (ex leghista) Pini

Non serviva certo l’inchiesta della procura di Forlì per scoprire la figura di Marcello Minenna, ex direttore generale dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, assessore all’ambiente della regione Calabria, un civil servant – come ama definirsi – capace di muoversi abilmente nel sottobosco del potere politico, cambiando casacca ogni volta ce ne sia bisogno pur di non restare senza incarico (tanto da passare dalle file del M5s a quelle del centrodestra). Non serviva l’inchiesta per scoprire le “particolarità” di questo personaggio, capace di spendere milioni di euro di soldi pubblici in divise per i dipendenti, loghi in marmo e lavori per “sale vip”. Senza dimenticare, come confermano ora anche gli inquirenti, la “concessione gratuita di auto di rappresentanza, anche di grossa cilindrata, che erano in carico all’Agenzia delle dogane e dei monopoli” a esponenti politici e rappresentanti delle istituzioni. Tutto ciò “in violazione di qualunque normativa di riferimento e con il solo fine di accrescere la propria personale sfera di influenza su esponenti politici e alti rappresentanti delle istituzioni”. Messi per un attimo da parte tutti questi elementi, c’è però da riflettere su alcuni aspetti singolari dell’inchiesta condotta dalla procura di Forlì.

 

Secondo quanto si legge nella misura di custodia cautelare, a Minenna viene contestato il reato di corruzione, che sarebbe avvenuto in concorso con l’imprenditore ed ex parlamentare della Lega, Gianluca Pini. Il “pactum sceleris” con Pini sarebbe stato siglato nel marzo 2020, nel pieno dell’emergenza pandemica. Secondo i pm, Minenna avrebbe “asservito la sua funzione pubblica” agli interessi privati di Pini in cambio dell’accreditamento all’interno del partito e della riconferma del suo incarico al vertice dell’Agenzia delle dogane con l’avvento del governo Draghi. L’interesse privato di Pini sarebbe consistito principalmente in un appalto ottenuto nel 2020 dall’azienda sanitaria Ausl della Romagna, che comprende i territori di 73 comuni, per l’importazione di mascherine chirurgiche: una commessa del valore di oltre tre milioni di euro. Queste mascherine, sempre secondo l’accusa, erano munite di false certificazioni CE e false dichiarazioni di conformità, dunque giudicate “completamente inidonee” ad assicurare protezione e capacità di filtraggio.

 

Le accuse risultano piuttosto evanescenti, soprattutto per quanto riguarda le finalità per le quali Minenna avrebbe asservito la sua funzione pubblica agli interessi di Pini. L’accreditamento nella Lega, secondo quanto scritto dai pm, sarebbe consistito nella “partecipazione ad alcuni eventi importanti da parte dell’onorevole Giancarlo Giorgetti”, come “l’inaugurazione della casa dell’anticontraffazione”, e nei tentativi di Minenna di “comprimere le voci di dissenso o critiche che sorgevano sull’operato dell’Agenzia delle dogane all’interno del partito Lega”. Poi, improvvisamente, il 17 maggio 2021 Minenna venne confermato al vertice dell’Agenzia delle dogane dal nuovo governo Draghi: “La nomina era tutt’altro che scontata – scrivono i pm –, a causa degli attriti incorsi in precedenza fra il direttore con altri uomini delle istituzioni, e quindi poteva ritenersi frutto dell’opera svolta dal Pini che in tal senso si era prodigato presso il ministro Giorgetti”.

 

In che modo Pini potesse influenzare Giorgetti i pm non lo spiegano, né chiariscono quale sia stato il ruolo di Giorgetti nella conferma della nomina di Minenna, essendo la decisione rimessa a un organo collegiale come il Consiglio dei ministri

 

L’evanescenza resta anche se si guarda alle utilità che avrebbe ricevuto Pini, vale a dire l’intervento di Minenna per l’importazione in Italia di milioni di mascherine. Tutte condotte che andranno interpretate tenendo conto del drammatico periodo in cui avvennero, cioè di emergenza legata alla pandemia e di disperata ricerca di mascherine. Saranno i giudici a valutare la sussistenza dei reati.

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