il caso

Sulla fuga di Artem Uss la vera domanda è: i servizi segreti dov'erano?

Ermes Antonucci

Il ministro Nordio accusa i giudici per l'evasione dell'imprenditore russo, generando polemiche. Nessuno che si chieda perché i nostri 007 non si siano preoccupati di monitorare un soggetto così pericoloso per la sicurezza internazionale

Una certa tendenza al masochismo sembra circolare tra i corridoi del ministero della Giustizia da quando si è insediato il governo Meloni. A manifestarla è stato prima il sottosegretario Andrea Delmastro, rivelando il contenuto delle informative riservate del Dap sui colloqui tra l’anarchico Cospito e i mafiosi al 41-bis, e ora addirittura il titolare del dicastero, il Guardasigilli Carlo Nordio, che ha deciso di avviare un’azione disciplinare contro i tre giudici della Corte d’appello di Milano colpevoli di aver concesso gli arresti domiciliari all’imprenditore russo Artem Uss, figlio del governatore di una regione siberiana vicino a Putin, poi evaso e rientrato in Russia. La vicenda, ancora poco chiara, è da giorni al centro di polemiche. Alcuni elementi, però, sono certi e fanno apparire alquanto improvvida l’iniziativa di Nordio, così come inefficiente l’attività dei servizi segreti italiani

 

Si sa che Uss è stato arrestato il 17 ottobre all’aeroporto di Malpensa, sulla base di un mandato di arresto internazionale emesso dalle autorità statunitensi, che lo ricercavano per reati finanziari e contrabbando di tecnologie militari dagli Stati Uniti alla Russia. Si sa che dopo l’arresto è nata una disputa tra Stati Uniti e Russia, che hanno avanzato all’Italia due richieste di estradizione (si ritiene che quella russa fosse un pretesto per far rientrare Uss in patria senza processarlo). Uss è rimasto in cella a Busto Arsizio fino al 2 dicembre quando, in seguito a un provvedimento depositato il 25 novembre, ma eseguito solo quando è stato possibile disporre del braccialetto elettronico, è stato posto ai domiciliari in una casa a Basiglio, fuori Milano. A dare l’ok ai domiciliari sono stati i giudici della Corte d’appello milanese Monica Fagnoni, Micaela Curami e Stefano Caramellino, che hanno ritenuto fondata l’istanza avanzata dai legali di Uss, gli avvocati Vinicio Nardo e Fabio De Matteis (del resto il principio del carcere come extrema ratio vale anche nei procedimenti di estradizione).

 

Si sa pure che gli americani il 29 novembre hanno scritto al ministero per chiedere l’arresto in carcere di Uss, ribadendo “l’elevatissimo pericolo di fuga”, ricevendo però rassicurazioni in merito. Si sa, poi, che il 21 marzo un altro collegio della Corte d’appello di Milano aveva concesso l’estradizione di Uss agli Stati Uniti, non ancora operativa perché sottoposta a ricorso pendente in Cassazione. Il giorno seguente Uss è fuggito dalla sua abitazione senza che nessuno se ne accorgesse, aiutato da una rete di amicizie e forse anche dei servizi segreti russi. Dopo due settimane Uss è riapparso in Russia, con tanto di ringraziamenti a tutte quelle persone “forti e affidabili” che gli sono “state vicine” nella sua fuga. 

 

Nordio ora accusa i giudici che concessero i domiciliari di grave negligenza, perché non avrebbero valutato in maniera adeguata una serie di elementi indicati dalla procura in un parere contrario ai domiciliari, andando incontro alle ovvie e comprensibili critiche da parte dell’Anm, che a sua volta accusa il Guardasigilli di sindacare il merito di una decisione giudiziaria, in violazione del principio di separazione dei poteri. Insomma, come se la confusione degli ultimi giorni non fosse abbastanza, Nordio – che proprio oggi pomeriggio riferirà alla Camera in un’informativa urgente – è riuscito nell’impresa di addebitare tutte le colpe alla magistratura e al ministero da lui stesso guidato, che come abbiamo visto era intervenuto per tranquillizzare gli amici americani.

 

In tutto questo rimpallo senza senso di responsabilità, si perde di vista un ultimo elemento certo di tutta la faccenda: Uss è scappato senza che i servizi segreti italiani neanche se ne accorgessero. Ma com’è possibile che i servizi non si siano preoccupati di monitorare un soggetto ritenuto così pericoloso per la sicurezza internazionale? L’unica risposta che al momento ci sovviene è quella fornita alcuni anni fa in un libro dal generale Mario Mori, già comandante del Ros e direttore del Sisde: “I servizi in Italia sono poco più che un carrozzone burocratico che ha paura di agire”. 

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