il retroscena

Il nuovo Csm tenta una svolta sulle nomine

Ermes Antonucci

La Quinta commissione del Consiglio, quella che si occupa delle nomine ha deciso che acquisirà sempre per ciascun candidato le eventuali chat con Palamara che lo dovessero riguardare, valutando la presenza di condotte improprie

Seppur lentamente e con una certa titubanza, qualche proposito di cambiamento sembra muoversi all’interno del nuovo Consiglio superiore della magistratura. Dopo essere stato travolto dallo scandalo Palamara, la credibilità dell’organo di governo autonomo delle toghe è ai minimi termini e qualcuno, forse, sembra essersene accorto. Secondo quanto appreso dal Foglio, nei giorni scorsi è avvenuta un’accesa ma approfondita discussione tra i componenti della Quinta commissione del Csm, quella che si occupa delle nomine negli uffici giudiziari. Al termine del confronto, la commissione – all’unanimità – ha deciso, come protocollo di lavoro, che acquisirà sempre, per ciascun candidato a un posto direttivo o semidirettivo, le eventuali chat che lo dovessero riguardare emerse dall’inchiesta nei confronti di Palamara.

 

Le chat intercettate, finite alla procura di Perugia, sono già a disposizione del Csm, che nella scorsa consiliatura ne ha fatto un uso alquanto “selettivo”: in alcuni casi le conversazioni dalle quali emergevano comportamenti inopportuni (come raccomandazioni per sé o per altri o denigrazione di colleghi) sono state prese in considerazione e sono costate ad alcuni magistrati la nomina in qualche ufficio giudiziario; in altri casi, conversazioni dal contenuto analogo sono state misteriosamente ignorate, consentendo a magistrati che in passato avevano tenuto condotte improprie di essere promossi a funzioni più prestigiose. Ciò che il Csm dovrà comunque stabilire con chiarezza sono i criteri con cui definire la rilevanza delle conversazioni intercettate. Ma se tutta questa operazione andasse in porto, si sarebbe di fronte perlomeno all’espressione della volontà del nuovo Csm di affrontare seriamente – e chiudere – la stagione dello scandalo Palamara.

 

In ottica futura, al Csm c’è anche chi spera che sia possibile adottare un codice etico attraverso cui imporre il divieto ai magistrati di intercedere presso i consiglieri – per sé o per altri – ai fini dell’ottenimento di incarichi o vantaggi personali. Chiaramente si tratterebbe di una regolamentazione di natura deontologica, rimessa alla buona fede degli stessi magistrati, e dagli effetti tutti da verificare, anche perché le correnti resterebbero vive e vegete.

 

Almeno formalmente, però, verrebbe finalmente chiusa l’“era Salvi”: quella inaugurata nel 2020 dall’allora procuratore generale della Cassazione, Giovanni Salvi, con l’adozione di una circolare in cui si stabiliva che tutti i magistrati che avevano praticato “attività di autopromozione” con Palamara non avevano commesso illecito disciplinare.

 

Nel frattempo, il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli ha mandato segnali distensivi al governo, in particolare al ministro della Giustizia Carlo Nordio, per quanto riguarda la riforma della disciplina delle intercettazioni. Intervenendo a un evento organizzato dalla corrente di Area, Pinelli ha sottolineato l’importanza del “rispetto rigorosissimo dei requisiti di ammissibilità” per lo svolgimento di intercettazioni, aggiungendo che la legge prevede che si faccia ricorso a esse solo “quando assolutamente necessarie per la prosecuzione delle indagini e quando altri mezzi investigativi meno invasivi non possano essere praticati, prassi che a mio giudizio non è sempre stata tenuta in debita considerazione”. Ne è derivato “un utilizzo eccessivo delle intercettazioni in taluni casi”.

 

Pinelli ha inoltre ricordato come la divulgazione delle intercettazioni spesso avvenga senza che l’indagato abbia ancora potuto spiegare davanti al giudice il contesto e le sfumature delle conversazioni captate: “E’ un tema di estrema delicatezza, perché una volta che le intercettazioni sono pubblicate e l’offesa alla reputazione è ormai compiuta si è di fronte a una tragedia rispetto alla quale non si può tornare più indietro. Paradossalmente si recupera più la libertà che la reputazione nella nostra comunità”.

 

Per quanto riguarda il trojan, per Pinelli esso “non deve diventare un mezzo per trasformare la legittima sovranità dello stato in controllo indiscriminato dei cittadini”. Secondo il vicepresidente del Csm, dunque, l’utilizzo di uno strumento così invasivo andrebbe “limitato ai soli delitti contro la criminalità organizzata”.