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Guerra giusta e giusta pace. Due visioni a confronto

Sabino Cassese

Una realtà, a certe condizioni, o un’utopia, se è impossibile porre la violenza sotto il controllo di regole. Le contraddizioni nel diritto dei conflitti armati. Lezioni dalla storia e dalla guerra in corso

Nella misura in cui c’è un diritto bellico, ci possono essere una guerra e una pace giuste? Se la risposta è negativa, vuol dire che non è stato possibile porre la violenza sotto il controllo di regole, e quindi del diritto, e renderla, di conseguenza, giusta. Due guerre mondiali o, come altri dicono, una guerra mondiale che è durata dal 1914 al 1945, 60 milioni di morti solo nel teatro europeo, tre volte tanto il numero dei feriti, distruzioni fisiche incalcolabili: tutto ciò non ha insegnato nulla?

 

Militarista. Fin dai tempi di Agostino e di Tommaso, si pensava che una guerra potesse essere giusta a tre condizioni: che fosse dichiarata da un’autorità legittima, che fosse motivata da una giusta causa, che si svolgesse in modi legittimi. E’ poi intervenuto l’articolo 51 della Carta delle Nazioni unite, che legittima le guerre se sono necessarie per la propria difesa, e se non lasciano altra strada o mezzo per risolvere un conflitto.
Pacifista. Nella guerra non esistono solamente i belligeranti. Gli Stati fanno parte di una comunità internazionale e occorre che la guerra sia condivisibile, oppure accettabile, oppure tollerabile dagli altri. Come osservò Franklin Delano Roosevelt, con una frase che è stata citata anche da Putin a suo tempo, “quando la pace viene infranta in un luogo qualunque, la pace di tutti i paesi è in pericolo ovunque”. Purtroppo, il diritto dei conflitti armati è pieno di contraddizioni. Consente l’uso legale della forza, ma accetta anche misure di ritorsione. Stabilisce che i civili vanno protetti, ma non riesce a tracciare la linea di confine tra civili e militari. Non è riuscito a introdurre un meccanismo internazionale di supervisione per i casi che vengono definiti di “belligerant occupation”, qual è quello dell’aggressione russa alla nazione ucraina. Non riesce a porre sotto controllo la restrizione dell’uso di alcune armi, nonostante che in teoria le regole ci siano. Riconosce i diritti individuali durante le ostilità, ma senza assicurarne l’effettiva protezione. E’ un campo nel quale – come è stato osservato – occorre nutrire un un’utopia realistica, sviluppare un pensiero immaginativo, ricorrere a riformatori giudiziosi, per affrontare le più avvilenti inadeguatezze della comunità internazionale.

 

Militarista. E’ facile parlare di pace. Ma vi sono tipi diversi di pace. Una cosa è un periodo di pace tra due guerre, altra cosa la pace sistemica alla quale aspiravano gli illuministi. Il secondo luogo, che vuol dire pace giusta? Correttamente Lucio Caracciolo, sulla Stampa del 4 luglio di quest’anno, si è chiesto se sia possibile ottenere una pace subito tra due contendenti tra i quali è andata crescendo, negli ultimi trent’anni, ma specialmente dal 24 febbraio 2022, una carica di odio tanto forte. Caracciolo pensa possibile una tregua piuttosto che una pace, cioè una pace provvisoria, per mettersi d’accordo su un percorso, con più tappe. Rimangono, peraltro, sullo sfondo, domande senza risposta. La prima è la seguente: qual è lo scopo dell’aggressione russa? Conquistare una piccolo pezzo di terra, oppure, più in generale, ristabilire un equilibrio – che si pensa rotto – tra Occidente ed Oriente? La seconda domanda: in un conflitto che vede contrapposte forze dotate di armi atomiche, sopravvive ancora la categoria della guerra giusta?
Pacifista. Bisognerebbe però almeno ascoltare i giudici. Il diritto internazionale ha avuto, da parecchi decenni, uno sviluppo interessante. Ha ha superato la tecnica di soluzione dei conflitti mediante la guerra, e quella che fa ricorso al negoziato, per affidare la soluzione dei conflitti a terze parti, cioè a giudici. Mi rendo conto che questo è molto difficile, ma, nel caso dell’aggressione russa all’Ucraina, qualche passo è stato fatto. La Corte internazionale di giustizia ha adottato misure provvisorie e urgenti chiedendo la sospensione delle operazioni militari in Ucraina e proponendo di non aggravare il conflitto. Già il 16 marzo ha emesso un ordine di fermarsi e risarcire i danni. L’ha fatto su ricorso dell’Ucraina contro la Federazione russa, sulla base della convenzione del 1948, per difendersi dall’accusa della Federazione russa di genocidio. Anche la Corte penale internazionale ha aperto un’inchiesta, perché ad essa si sono rivolti 41 Stati, tra cui l’Italia. 

 

Militarista. Che cosa è stato fatto dalle forze pacifiste per mantenere la pace in questi anni? Si sono cullate nella idea kantiana che il commercio mondiale avrebbe prodotto la pace. Hanno tentato la strada della esportazione o della promozione della democrazia, pensando che questa, come il commercio, potesse a sua volta produrre automaticamente la pace. Ma né il  commercio internazionale, né lo sviluppo delle democrazie nazionali garantiscono automaticamente la pace. Bisognava fare qualcosa di più. Stabilire altre forme di collaborazione tra le nazioni. Trovare il modo di sottrarre al governo unilaterale degli Stati quegli strumenti che possono causare conflitti. Un esempio è quello delle frontiere. Un altro esempio è quello delle fonti di energia. Un altro esempio ancora è quello del commercio delle armi (i tentativi fatti nel 2008 e nel 2014 a questo proposito non sono stati sufficienti; non basta il divieto assoluto dell’uso delle armi per commettere genocidi, crimini contro l’umanità e gravi violazioni della convenzione di Ginevra). Anche la giustizia internazionale è lenta, o non funziona, o non è ascoltata.
Pacifista. L’aggressione russa alla Repubblica Ucraina presenta però caratteristiche peculiari, che rendono più grave il conflitto provocato dalla Federazione russa. E’ una guerra di conquista, non di liberazione, mira al territorio, non a liberare la popolazione. Si svolge tra paesi tra i quali vi è un fortissimo squilibrio: il territorio ucraino è per estensione meno del 4 per cento del territorio della Federazione russa, che è per di più dotato di risorse naturali infinitamente più ricche.

 

Militarista. Un’altra difficoltà dell’attuale situazione deriva dal tipo di intervento di soggetti terzi a favore dell’Ucraina. Sono state disposte sanzioni. Vengono chiamate sanzioni, ma sarebbe meglio chiamarle ritorsioni. Per quanto le nazioni che hanno  disposto sanzioni siano convinte di stare dalla parte della ragione, salvo le iniziative della Corte internazionale di giustizia e della Corte penale internazionale, non vi sono pronunce dei giudici che ordinino sanzioni, e quindi queste ritorsioni sono un modo per farsi ragione da sé. Si differenziano anche dalle “retaliatory measures” dell’Organizzazione mondiale del commercio, perché quelle sono previste dai trattati e sono disposte sotto il controllo dell’organo di risoluzione delle dispute dell’Organizzazione mondiale del commercio. Anche quelle, peraltro, producono asimmetrie. Come ha osservato un esperto del commercio internazionale, una cosa è per l’Unione europea essere esclusa dal mercato dell’Ecuador, una molto diversa per l’Ecuador di essere esclusa dal mercato europeo.
Pacifista. In questo caso, però, c’è una pronuncia della Corte internazionale di giustizia, che in base all’articolo 36, primo comma, del suo statuto e all’articolo IX della convenzione del 1948 ha disposto che l’Ucraina ha il diritto a non essere soggetto alla falsa accusa di genocidio e che non si può usare la forza nel territorio di un altro Stato con lo scopo di prevenire o punire un supposto genocidio.

 

Militarista. Nel 1983, Milan Kundera, nello scritto “Un Occidente prigioniero”, pubblicato in Italia da Adelphi nel 2022, riferendosi principalmente a Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia, osservava che “l’Europa centrale non è uno Stato, ma una cultura e un destino. I suoi confini sono immaginari e a ogni nuova situazione storica debbono essere tracciati daccapo”. Kundera lo scriveva per caldeggiare l’idea dell’eurocentrismo. Anche di questo bisogna tener conto, nel valutare il conflitto attuale.
Pacifista. Consideriamo però anche alcuni altri dati di fatto, relativi alla Russia. Questa invasione, in sostanza, nasce 15 anni fa, quando Putin ha cominciato a opporsi al cosiddetto modello unipolare, a concepire la Russia come fortezza, a contrastare le teorie di George Kennan (1947) del contenimento. L’aggressione all’Ucraina è il prodotto di un nazionalismo accentuato, è stata preceduta da una forte centralizzazione del potere, da un ridisegno delle linee di comando tra centro e periferia, da una forte accentuazione della retorica patriottica, da una sottolineatura della continuità tra la Russia zarista, la Russia sovietica e la Russia post-sovietica, da una dura contrapposizione con l’eurocentrismo, dal bisogno di riconoscimento come grande potenza, da una accentuazione di valori, cultura, esperienza tradizionali russi. Basta leggere in proposito due libri importanti, quello di Giuliano da Empoli, “Il mago del Cremlino” (Mondadori, 2022) e quello di Orietta Moscatelli, “Putin e putinismo in guerra” (Salerno editrice, 2022).

 

Militarista. Proprio Moscatelli, in quest’ultimo libro, ricorda che Putin avrebbe spiegato ad Angela Merkel quanto sia difficile tenere unito un paese che va dalle rive del Baltico di Kaliningrad a Petropavlovsk in Kamchatka. Moscatelli riporta una frase detta da Putin alla cancelliera tedesca nel 2012: “Caterina II all’inizio voleva cancellare in fretta il diritto di schiavitù. Poi studiò la composizione della Russia e sa cosa fece? Rafforzò i diritti della nobiltà e distrusse i diritti dei contadini. Da noi è impossibile fare altrimenti, fai un passo a destra, uno sinistra ed ecco, fine, hai perso il potere”. 
Pacifista. Ma proprio Caterina II è l’esempio di una sovrana illuminata. Basti ricordare i suoi rapporti con l’illuminista Diderot e leggere quei “Mélanges pour Catherine II”, scritti tra il 15 ottobre e il 3 dicembre del 1773, che contengono tante osservazioni acute sulla Russia, sulla sua storia e i suoi governanti, oltre ad essere una vera e propria “école d’un souverain”.

 

Militarista. Non dimentichiamo che la Russia è una potenza mondiale recessiva. Questa è una conclusione che appare chiara dall’ultimo libro della costituzionalista italiana Fiammetta Salmoni, intitolato “Guerra o pace. Stati Uniti, Cina e l’Europa che non c’è”, edito dalla Editoriale scientifica nei giorni scorsi. E’ un libro che contiene una riflessione costituzionalistica nutrita di storia delle relazioni internazionali su imperialismo, guerra fredda, difesa comune, contenimento, e considera la divisione del mondo tra superpotenze, mettendo a fuoco le tensioni che si affacciano nel mondo internazionale e considerando gli attori principali, non solo gli Stati. In questo libro la Russia appare un attore secondario.
Pacifista. Ma proprio il ruolo della Russia dimostra che non bisogna temere soltanto la “trappola di Tucidide”, così bene esposta dal politologo americano Graham Allison nel 2012 e ripresentata da Fiammetta Salmoni nel modo seguente: “Una nuova potenza emerge, insidiando con la propria continua espansione la preesistente egemonia di un’altra potenza, accresce il timore di quest’ultima di perdere la propria posizione di primazia fino al punto di scatenare una vera e propria guerra”. E’ quello che racconta Tucidide nella “Guerra del Peloponneso”, e che accadde tra Atene e Sparta. Ma questo quadro non considera il pericolo delle potenze non emergenti ma recessive, né l’insieme dei contropoteri di cui gli stessi imperialismi hanno bisogno, ivi inclusa la globalizzazione, che serve alla realizzazione sia di interessi, sia di valori delle forze imperialistiche, che hanno bisogno di aprire il campo ai propri commerci e non possono negare alcuni valori essenziali, come il divieto del lavoro forzato.

 

Militarista. Torniamo al conflitto Russia-Ucraina. Se le dimensioni delle due nazioni in conflitto sono tanto diverse, tuttavia, non sono tanto squilibrate le forze militari perché la Repubblica Ucraina dispone di 145 mila militari e i russi di 160 mila.
Pacifista. Vediamo anche i risultati di questa guerra. Il riarmo della Germania. La Nato che si rafforza (diventata tre volte più grande nei 20 anni della Russia putiniana, e ora ingigantita da questa guerra). Il rafforzamento dell’asse baltico. Se si affronta questo con l’idea, maturata nell’ultimo decennio del secolo scorso, che potesse esservi una comunità di Stati democratici estesa da Vancouver a Vladivostock, si capisce quale differenza si è prodotta. Non dimentichiamo che la Federazione russa opera con le armi, uccidendo e distruggendo, e che l’Occidente opera mediante finanziamenti, fornitura di armi, ritorsioni, quindi con strumenti che non producono i danni delle armi.

 

Militarista. Ma è proprio questo che cerca di osteggiare Putin, come disse nel discorso all’Onu del 2015, nel settantesino anniversario dell’Organizzazione: l’esportazione della rivoluzione democratica, la penetrazione dello stesso diritto internazionale nel diritto interno, il tentativo di influenzare il regime politico dei singoli Stati attraverso istituzioni come il Fondo per la democrazia delle Nazioni unite o l’Iniziativa similare dell’Unione europea. Questo fa sentire Putin accerchiato.
Pacifista. Il tipo di reazione della Federazione russa ha rivitalizzato la Nato. Questa ha avuto una vera e propria trasformazione. Entrata della Finlandia e della Svezia. Appoggio all’Ucraina a lungo termine. Nuova strategia. Ampliamento delle attività fuori del settore militare, dal terrorismo alla crisi alimentare, al cambiamento climatico, all’innovazione. Aumento del bilancio. Nuove relazioni con l’India e con l’area del Pacifico. La Nato sta diventando da un’organizzazione speciale un’organizzazione generale, attenta non solo al fianco est ma anche al fianco sud, con una presenza militare quasi otto volte più grande e un’estensione territoriale che passa da quella regionale a quella globale.

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