Così Salvini ha spinto il referendum ai minimi storici e resuscitato le toghe

Ermes Antonucci

Il leader leghista è riuscito a compiere due miracoli in un colpo solo: raggiungere il minimo storico per una consultazione referendaria e offrire alla magistratura il pretesto per rialzare la testa e tornare a condizionare la politica

Con il flop clamoroso dei referendum sulla giustizia Matteo Salvini è riuscito a compiere due miracoli in un colpo solo: da un lato, è stato capace di trasformare il voto sui cinque quesiti per “una giustizia giusta” nella consultazione referendaria meno partecipata della storia repubblicana (21 per cento di affluenza), e questo nonostante il sentimento di sfiducia nei confronti della giustizia e della magistratura che attraversa l’opinione pubblica italiana (soprattutto dopo il caso Palamara); dall’altro lato, con questo fallimento epico è riuscito nell’impresa di offrire alla magistratura associata il miglior pretesto per rialzare la testa e tornare a condizionare in maniera massiccia il dibattito politico italiano.

 

Nel pomeriggio di oggi, puntuale, è arrivato l’intervento del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Giuseppe Santalucia: “Il voto popolare è una sonora bocciatura di un disegno di riforma della magistratura che non è gradito, si tratta di prenderne atto”. Il presidente dell’Anm ha così invitato il Parlamento a modificare la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm alla luce dell’“indicazione popolare molto forte” venuta dai referendum, a partire dalla “bocciatura categorica di una separazione delle funzioni così esasperata da essere sostanzialmente delle carriere”: “Il voto – ha detto Santalucia – dà la misura che la ministra e il governo si stanno muovendo in direzione contraria a quella che è la sensibilità del corpo elettorale”. Il paradosso dei paradossi, se si pensa al flop ottenuto dall’Anm soltanto un mese fa con lo sciopero contro la riforma Cartabia (adesione delle toghe ferma al 48 per cento). Ma, come dicevamo, Salvini è riuscito nel miracolo di resuscitare persino l’Anm.

 

Prima ancora, era stato il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri a commentare il fallimento dei referendum: “Se non è bastato il 48 per cento dei magistrati, ora  l’85 per cento degli italiani, non votando, ha detto che evidentemente la separazione delle carriere non la vuole, né la valutazione dei magistrati da parte degli avvocati. Basterà al governo per capire che questa riforma dell’ordinamento giudiziario non va bene?”. Dichiarazioni senza alcun senso logico (sia perché l’astensione non equivale a un “no”, sia perché la riforma Cartabia in discussione in Parlamento non prevede affatto la separazione delle carriere), ma che dimostrano quanto il disastro dell’iniziativa referendaria promossa con i radicali da Salvini (inizialmente con grande entusiasmo e poi in modo molto più silenzioso) offra ora il fianco a strumentalizzazioni politiche di ogni genere da parte del mondo togato.

 

Insomma, il mondo garantista si ritrova ora anche a gestire le conseguenze nefaste di un’iniziativa avventata, improvvisata e anche poco credibile come quella voluta da Salvini (un politico che ha fatto del giustizialismo la sua ragion d’essere, ma che di colpo si è scoperto “garantista”). Il punto cruciale lo ha ben colto Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione camere penali, in conclusione di un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “Ora sarà più difficile discutere di questi temi. Questo atto politico avventato rischiamo di pagarlo carissimo”.

 

Non c’è soltanto da prendere atto delle strumentalizzazioni che il mondo della magistratura farà (e sta già facendo) del flop referendario, ma anche da interrogarsi sull’atteggiamento che ora la Lega di Salvini terrà in Senato attorno alla riforma Cartabia. Commentando a caldo il risultato negativo, Roberto Calderoli ha assicurato che il Carroccio “riproporrà tutti gli emendamenti presentati in Parlamento per modificare la riforma Cartabia”. In conferenza stampa, Salvini ha confermato la presentazione di “proposte che siano conseguenti ai quesiti referendari”. Oggi in commissione Giustizia del Senato, presieduta dal leghista Andrea Ostellari, è ripresa l’esame del testo di riforma.

 

La maggioranza si è accordata per portare il testo in aula già mercoledì 15 giugno, così da approvarlo entro il fine settimana. Se, tuttavia, la Lega dovesse scaricare sui lavori parlamentari la frustrazione legata al fallimento del referendum, impuntandosi su alcuni aspetti della riforma (come il limite al passaggio di funzioni tra pm e giudici, e le regole elettorali del Csm), le tensioni nella maggioranza potrebbero tornare a riaccendersi e i tempi dell’approvazione del testo Cartabia ad allungarsi. Tutto ciò nonostante i continui richiami del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ad approvare il prima possibile la riforma, così da procedere al rinnovo del Csm travolto dagli scandali correntizi.