giustizia

Lo sciopero delle toghe rischia il flop: i vertici dell'Anm tremano

Ermes Antonucci

Una parte consistente della magistratura appare intenzionata a non partecipare all’astensione del 16 maggio proclamata dall'Associazione nazionale magistrati. L'iniziativa rischia così di rivelarsi un boomerang per la dirigenza del sindacato delle toghe

Lo sciopero dei magistrati previsto per lunedì rischia di rivelarsi un clamoroso fallimento. C’è aria di flop nell’aria, e a confermarlo è anche la decisione presa a sorpresa mercoledì dalla giunta dell’Associazione nazionale magistrati di rivolgere un appello ai propri iscritti: “Noi siamo per lo sciopero!”, recita il documento, prima di ribadire le ragioni alla base dell’astensione e soprattutto invitare i magistrati ad aderire alla mobilitazione: “Nel rispetto delle sensibilità di ciascuno, dobbiamo testimoniare il ‘NO’ a questa riforma e abbiamo in questo, soprattutto oggi, un dovere di unità, dando orgogliosamente seguito alla volontà assembleare. Sì allo sciopero come gesto di solidarietà collettiva, come atto di coraggio in nome degli ideali in cui crediamo”. Una chiamata alle armi, che denota una preoccupazione palpabile nella dirigenza dell’Anm, presieduta da Giuseppe Santalucia: una parte consistente della magistratura appare intenzionata a non partecipare all’astensione del 16 maggio contro la riforma dell’ordinamento giudiziario e del sistema elettorale del Csm, ancora in discussione in Parlamento.

 

L’iniziativa rischia di rivelarsi un boomerang devastante per i vertici del sindacato delle toghe. Nel 2010 l’ultimo sciopero indetto dall’Anm, quello contro la manovra economica del governo Berlusconi, registrò un’adesione tra l’80 e l’85 per cento. Anche i quattro scioperi proclamati tra il 2002 e il 2005 contro la riforma dell’ordinamento giudiziario targata Castelli registrarono tassi di adesione molto elevati (alcuni addirittura oltre il 90 per cento). Questa volta, invece, ci sono magistrati che, in via riservata, rivelano il timore che si possa non arrivare neanche alla soglia del 50 per cento. In altre parole, una toga su due potrebbe presentarsi in ufficio per lavorare, contro le indicazioni dell’Anm. Si tratterebbe di un esito disastroso per i vertici dell’associazione, che a quel punto sarebbero costretti a prendere atto della distanza abissale che li divide dalla base e quindi a dimettersi.

 

Le voci raccolte dal Foglio dagli uffici giudiziari sparsi per il paese sembrano confermare lo scarso entusiasmo della magistratura di fronte allo sciopero. C’è chi critica il momento scelto per l’iniziativa, con il testo di riforma ancora sotto l’esame del Senato. C’è chi concorda con le parole espresse a questo giornale dall’ex presidente dell’Anm, Pasquale Grasso: “Dovremmo scioperare per una riforma tutto sommato di bandiera, che concretamente non porterà nulla di positivo al paese ma neppure sconquasserà la magistratura, quando siamo ai minimi storici di credibilità? Non sono per niente d’accordo”. C’è chi rifiuta la logica di scioperare “turandosi il naso” per non far apparire l’Anm divisa all’esterno. C’è chi rivela di aver già programmato riunioni in ufficio per lunedì e di aver ricevuto dalla maggioranza dei propri colleghi la conferma della loro presenza. C’è chi riferisce che anche altri ex prestigiosi presidenti dell’Anm sarebbero intenzionati a non aderire allo sciopero proclamato dai loro successori. Mentre un giudice milanese  arriva persino a vagheggiare un passo indietro in extremis dell’Anm sulla mobilitazione (scelta che, piuttosto che permettere ai dirigenti di salvare la faccia, trasformerebbe la vicenda in farsa).

 

Ad ogni modo, dovesse scioperare anche soltanto la metà degli ottomila magistrati italiani, nella giornata di lunedì si registrerà un rallentamento significativo della già letargica macchina giudiziaria (sono esclusi ovviamente i processi urgenti, ad esempio quelli che coinvolgono detenuti). Uno scenario che, visti gli arretrati prodotti nelle aule di giustizia dalla lunga emergenza pandemica e le tensioni ora determinate dalla guerra in Ucraina sul piano politico ed economico, il paese si sarebbe potuto risparmiare.