Caro Salvini, è troppo presto per fare propaganda sulla condanna di Lucano

Fatti (e contraddizioni) nel caso che ha coinvolto l'ex sindaco di Riace

Ermes Antonucci

In primo grado Mimmo Lucano ha ricevuto una pena doppia rispetto a quella chiesta dall’accusa. È la conferma dell’ampia discrezionalità di giudizio che ha caratterizzato i fatti oggetto dell’inchiesta. E quindi l’opportunità di aspettare sentenze definitive prima di giudicare la vicenda

Il tribunale di Locri ha condannato Domenico Lucano, ex sindaco di Riace, a tredici anni e due mesi di reclusione nel processo “Xenia”, incentrato su presunti illeciti nella gestione dei migranti. Lucano, divenuto nel corso degli anni simbolo dell’integrazione e dell’accoglienza, è stato ritenuto colpevole di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, truffa, peculato, concussione, turbativa d’asta, falsità ideologica e abuso d’ufficio. In particolare, Lucano è accusato di una lunga serie di illeciti e irregolarità amministrative nella gestione dei finanziamenti erogati dal ministero dell’Interno e dalla prefettura di Reggio Calabria al comune di Riace per l’accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo politico, come l’affidamento di diversi servizi pubblici ad alcune cooperative sociali senza gare d’appalto e persino l’organizzazione di “matrimoni di convenienza” tra cittadini del posto e donne straniere, al fine di favorire illecitamente la permanenza di queste ultime nel territorio italiano.

   
In attesa del deposito delle motivazioni della sentenza (lo ricordiamo, di primo grado), non si può fare a meno di notare il notevole divario tra la pena inflitta a Lucano dai giudici e la richiesta di condanna in precedenza avanzata dai pm: la sentenza, infatti, condanna Lucano a quasi il doppio degli anni di reclusione rispetto a quelli che erano stati chiesti dalla pubblica accusa (sette anni e undici mesi). Raramente si è registrata una distanza così radicale tra le richieste dell’accusa e le decisioni dell’organo giudicante. Si tratta soltanto dell’ultima conferma dell’ampia discrezionalità di giudizio che, fin dall’inizio, ha caratterizzato i fatti oggetto dell’inchiesta.

     

    

Il 2 ottobre 2018 il gip di Locri autorizzò gli arresti domiciliari nei confronti di Lucano, riconoscendo la fondatezza di molte delle accuse addebitate nei confronti dell’allora sindaco di Riace, ma allo stesso tempo facendo cadere le contestazioni più gravi ipotizzate dai pm. Il gip mosse anche critiche piuttosto dure all’operato degli inquirenti per come erano state formulate molte delle imputazioni, rilevando “errori grossolani”, “marchiane inesattezze” e anche “l’assoluta carenza di riscontri estrinseci”. Gli arresti domiciliari nei confronti di Lucano vennero poi revocati e trasformati in un divieto di dimora a Riace, in seguito annullato con rinvio dalla Corte di Cassazione. I giudici di Cassazione stabilirono che non vi erano indizi di comportamenti fraudolenti da parte di Lucano e che non erano state provate le “opacità” che avrebbero caratterizzato l'azione dell’ex sindaco di Riace per l’affidamento di servizi pubblici alle cooperative, ricordando che la legge in certe condizioni consente l’affidamento diretto di appalti in favore delle cooperative sociali “finalizzate all’inserimento lavorativo delle persone svantaggiate”.

     

    

Nel luglio 2020, i giudici del Riesame di Reggio Calabria rigettarono l’appello della procura di Locri che chiedeva il mantenimento di misure cautelari per Lucano. In quell’occasione i giudici, pur riconoscendo una “modalità di gestione non cristallina delle risorse pubbliche”, evidenziarono l’“inconsistenza del quadro indiziario”, aggiungendo che “il programma perseguito dagli indagati non si è tradotto in condotte penalmente rilevanti”. Insomma, pur concentrandosi sulle esigenze cautelari, le pronunce avevano ridimensionato in maniera significativa l’impianto accusatorio contro Lucano. 

 
L’operato dell’ex sindaco di Riace venne inoltre valutato positivamente sul piano amministrativo. Sia il Tar della Calabria sia il Consiglio di stato annullarono il provvedimento con cui il ministero dell’Interno, allora guidato da Matteo Salvini, nel 2018 aveva escluso il comune di Riace dallo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo, mettendo fine al “modello Riace” di accoglienza dei migranti, un modello definito invece “encomiabile” dal Consiglio di Stato.

      
La condanna in primo grado stabilita ora dal tribunale di Locri, con una pena doppia rispetto a quella chiesta dall’accusa, conferma l’ampia discrezionalità con cui possono essere valutati i fatti oggetto del processo, e quindi l’opportunità di aspettare sentenze definitive prima di giudicare la vicenda. Il contrario della logica seguita dal leader della Lega, Matteo Salvini, che ha commentato in questo modo la condanna di Lucano: “La sinistra in Calabria candida condannati a 13 anni di carcere!”. Evidentemente il garantismo vale solo per Morisi
  

Di più su questi argomenti: