Mimmo Lucano (LaPresse) 

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L'accanimento giudiziario contro Mimmo Lucano

Adriano Sofri

Una lista infinita di imputazioni. Se anche ci fossero state irregolarità nell'accoglienza, l'accusa avrebbe potuto chiedere una sanzione simbolica e invocare le attenuanti. Invece si chiede una condanna esorbitante

Ieri Gian Antonio Stella ha scritto sul Corriere: “Se il caso Lucano fa ancora riflettere”. Il caso Lucano è Mimmo Lucano, per il quale la pubblica accusa di Locri ha chiesto la condanna a 8 anni (7 e undici mesi, esattamente) in un processo di cui si è sfiniti di ricordare qualità e quantità di imputazioni. (Associazione a delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina…). 

 

E si è anche sfiniti di solidarizzare con Lucano e la sua e nostra Riace che non è più nostra né sua – gli succedette un ineleggibile, appena il tempo di togliere il nome di Peppino Impastato - e c’è perfino un imbarazzo, di fronte a un tale accanimento. Sentiremo la difesa, tenuta da Giuliano Pisapia e Andrea Daqua. Ci sono stati, in una vicenda che tocca i cinque anni, i pronunciamenti clamorosamente contrastanti di diversi giudici, Riesame e Cassazione compresi. C’è stata l’accusa di aver sottratto fraudolentemente a fini privati fondi per milioni, indimostrata e a quanto pare abbandonata – arricchimento personale, niente. Poi l’accusa di aver violato le leggi e i regolamenti non per l’impellenza dell’aiuto ai bisognosi ma per una promozione elettorale. Lucano ha prima dimostrato di non aver accettato candidature in passato, al tempo di cui si parla. Ora è in corsa in una lista regionale guidata da De Magistris, e il pubblico ministero ha ritenuto di presentare alla Corte la notizia per provare l’assunto dell’accusa: l’avevamo detto noi, si candida.

 

Il giudice gli ha spiegato che la candidatura di Lucano non ha niente a che fare col processo. E del resto, se si arriva a evocarla come il vero movente delle malversazioni, invece della generosa accoglienza, non si toccherà mai una fine, perché anche all’accogliente più nobile e disinteressato si può addebitare il movente della vanità o del compiacimento della propria magnanimità. Virtù in bilico che non dovrebbero stare in un processo. Se le trasgressioni ci sono state e sono venute dall’urgenza, dalla scelta di un fine superiore, magari anche da una leggerezza dettata dal fervore e dall’entusiasmo (Lucano ricorda quando autorità statali che non sapevano dove sbattere la testa gli mandavano migranti cui provvedere con tanto di ringraziamenti ed elogi), allora l’accusa dica pure di essere costretta a chiedere una sanzione simbolica, invochi tutte le attenuanti e le faccia prevalere, e lasci che un giudice trovi il modo migliore di liberare tutti da un fardello immeritato. 

 

Ma accanirsi! Chiedere otto anni (7 anni e undici mesi, esattamente)! Ci sono giorni in cui anche una volgarità come un paio di punti esclamativi diventa ragionevole.

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