Presidio contro l'apertura del Cpr (centro di permanenza per il rimpatrio), Milano 2020 (Ansa)  

piccola posta

Pestato per strada, arrestato e imprigionato: muore suicida. Tutto bene?

Adriano Sofri

Musa Balde, migrante dalla Guinea, viene malmenato a Ventimiglia da tre italiani. Gli inquirenti escludono il movente razziale e trasferiscono il giovane in un centro di permanenza per il rimpatrio. Sabato notte il tragico finale

Musa Balde, 23 anni, guineano, viene pestato con mazze bastoni pugni e calci da tre italiani che lo accusano di tentato furto di un telefonino. (Lui dice che chiedeva l’elemosina). Una persona gira un video del pestaggio, in cui una donna grida: “Lo stanno ammazzando”. Musa Balde viene portato in ospedale e dimesso con una affettuosa prognosi di dieci giorni e, per gastigo, si busca una notte in cella di sicurezza e il trasferimento in una cella isolata nel Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino. 

 

Ci resta quindici giorni. Grida: Perché mi hanno chiuso? Grida che ha bisogno di un dottore. Gli hanno fatto firmare le carte per il rimpatrio, nessuno gli ha chiesto niente del pestaggio – così pare al suo avvocato d’ufficio. I suoi bastonatori sono stati individuati, denunciati per lesioni personali aggravate, a piede libero. (Escluso il pericolo di reiterazione del reato?) Escluso il movente razziale. (Avrebbero bastonato così di santa ragione se Musa fosse stato di Pinerolo e non avesse attraversato i mari e i deserti per arrivare fino a Ventimiglia?) Preso dalla disperazione, Musa avrebbe voluto andare difilato in tribunale, per denunziare al giudice i tre malandrini, che lo avevano pestato. Musa, alla presenza del giudice, avrebbe raccontato per filo e per segno le botte di cui era stato vittima; e finito col chiedere giustizia. Il giudice lo avrebbe ascoltato con molta benignità: preso vivissima parte al racconto: si sarebbe intenerito, si sarebbe commosso: e quando Musa non avesse avuto più nulla da dire, avrebbe allungato la mano e suonato il campanello. 

 

A quella scampanellata sarebbero comparsi subito due can mastini vestiti da giandarmi. Allora il giudice, accennando Musa ai giandarmi, avrebbe detto loro: 
“Quel povero diavolo è stato bastonato da tre malandrini: pigliatelo dunque e mettetelo subito in prigione”. 

 

Musa Balde, sentendosi dare questa sentenza fra capo e collo, sarebbe rimasto di princisbecco e avrebbe voluto protestare: ma i giandarmi, a scanso di perditempi inutili, gli tapparono la bocca e lo condussero al CPR, più brutto di una brutta gattabuia. E lì v’ebbe a rimanere quindici giorni: quindici lunghissimi giorni e notti: e vi sarebbe rimasto anche di più, se non si fosse dato il fortunatissimo caso che, arrotolato il lenzuolo della branda, ne fece un nodo sopra un appiglio del cesso, e s’impiccò. 

(Ha collaborato: Carlo Collodi).

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