Michele Prestipino (Ansa)

La proposta Violante: “Un'Alta Corte per i ricorsi contro il Csm”

Luciano Capone

“Troppo spesso la magistratura amministrativa giudica il Csm. Serve una riforma”, dice lex magistrato, ex presidente della Camera
 

“Non conosco le motivazioni, ma c’è un problema istituzionale che va oltre il caso specifico” dice Luciano Violante, ex magistrato, ex presidente della Camera e a lungo punto di riferimento nella magistratura. Il caso specifico è la sentenza del Consiglio di Stato che respinge i ricorsi del procuratore di Roma Michele Prestipino e del Csm contro la sentenza del Tar  che aveva accolto il ricorso del procuratore generale di Firenze Marcello Viola:  la delibera di nomina  di Prestipino è illegittima.

 

Mentre il problema generale sono i continui ricorsi al Tar. “Visto l’intensificarsi dei ricorsi contro le decisioni del Csm, si pone  il problema se a giudicare debba essere la magistratura amministrativa”, dice Violante. “Perché così la magistratura amministrativa rischia di diventare il soggetto che, al di là della Costituzione decide delle promozioni e delle sanzioni dei magistrati”. Come si può mettere mano a questa deriva? “Credo che si debba costituire un’Alta Corte, composta da personalità con le stesse caratteristiche dei componenti della Corte Costituzionale, che sia giudice di appello nei confronti  delle  decisioni disciplinari e amministrative del Csm, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e di quella contabile. Insomma, una Corte per il ricorso di grado unico sulle decisioni degli organi di autogoverno di tutte le magistrature”.

 

 

E’ quello dei ricorsi un  problema che riguarda anche le altre magistrature? “Ora discutiamo della nomina alla Procura di Roma, ma ci sono  altri aspetti che rendono discutibile l’attuale sistema:  nei confronti di tutte le decisioni del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa si può ricorrere ai Tar che però sono subordinati al suddetto Consiglio. E’ una contraddizione persino troppo evidente per essere sottolineata”.  Possibile che i padri costituzionali non ci abbiano pensato? “C’è stato negli ultimi anni un mutamento dei costumi che ci costringe ad una nuova norma costituzionale”.


Il mutamento dei costumi, e quindi delle impugnazioni contro le decisioni del Csm, può dipendere anche da una perdita di credibilità e di legittimità dell’organo di autogoverno della magistratura ultimamente travolto da ripetuti scandali? E quindi i magistrati fanno ricorso perché non si fidano di scelte che, per forza di cose sono in parte discrezionali, ma prese all’interno di un sistema sempre meno autorevole? “Naturalmente ci sono problemi nel funzionamento del Csm, ma in questo caso il tema è diverso. In tutta la società italiana c’è maggiore sensibilità ai diritti e quindi maggiore contestazione di atti che apparentemente li limitano. C’è insomma una maggiore consapevolezza di titolarità dei diritti e così  si impugnano più frequentemente decisioni che, si presume, li violino”.

 

L’istituzione di questa Alta Corte potrebbe essere inserita nel piano complessivo di riforma della giustizia di cui ha parlano il ministro della Giustizia Marta Cartabia? Gran parte dei cambiamenti inseriti dal Pnrr e richiesti dall’Europa riguarda il processo civile, ma magari si può approfittare per una riforma istituzionale. “Mi pare che dall’orizzonte siano esclusi interventi costituzionali, anche se recentemente la responsabile giustizia del Pd ha rilanciato proprio al Foglio  l’idea di istituire un’Alta Corte. Non so se ci sia lo spazio politico, ma  secondo me è un problema che va affrontato con consapevolezza dei danni arrecati dal lasciare le cose come stanno”.

Sembra che ormai tutte le decisioni finiscano in mano al Tar. “Ovviamente non è colpa dei giudici, ma ad esempio, di un codice appalti, un confuso labirinto regolatorio che favorisce continui ricorsi. Nel Recovery è stabilito che si possano trovare via diverse per realizzare le opere inserite nel piano nazionale. In pratica si mette da parte il codice appalti e si adoperano le normative europee più snelle”.

 

Sembra però la classica soluzione all’italiana  di un problema italiano: prima si scrive una norma sbagliata o complicata e poi, anziché cambiarla, si predispone una deroga. “Al centro c’é un cambio di cultura. Per molto tempo ha dominato la cultura del sospetto, sia nei confronti dei funzionari pubblici sia degli imprenditori. Questo processo di sospetto e criminalizzazione di chi opera nel settore ha portato a un passo indietro delle persone perbene e alla  paura della firma nei funzionari pubblici.  In quelle leggi l’impronta è la sfiducia, l’idea dello Stato guardiano sospettoso della vita dei cittadini  e delle imprese. Questo clima va messa da parte. Servono trasparenza e fiducia, poi se qualcuno sbaglia paga”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali