A destra Cliff Richard, a sinistra Paul Gambaccini (foto LaPresse)

Basta con la gogna del #MeToo

Ermes Antonucci

Il cantante Cliff Richard e altre personalità colpite da false accuse di molestie, chiedono una legge che garantisca l’anonimato a chi è sospettato di reati sessuali fino all’incriminazione

La campagna #MeToo contro le molestie sessuali e la violenza sulle donne non può trasformarsi in un tritacarne mediatico-giudiziario, attraverso cui distruggere la vita delle persone sulla base di accuse ancora tutte da dimostrare. A sostenerlo con forza sono alcuni protagonisti d’eccezione dello star system britannico, come la leggenda della musica pop Cliff Richard, il dj radiofonico Paul Gambaccini e l’attore Stephen Fry, tutti travolti in passato da accuse di violenze sessuali poi cadute nel nulla. E’ proprio alla luce delle sofferenze vissute sulla propria pelle che hanno deciso di sostenere la petizione lanciata da un’organizzazione ribattezzata “Falsely Accused Individuals for Reform (Fair)”, per chiedere l’introduzione di una legge che garantisca l’anonimato a tutte le persone sospettate di reati sessuali fino all’eventuale incriminazione formale.

  

In prima linea in questa campagna c’è proprio sir Cliff Richard, che ieri a Londra ha illustrato i contenuti della petizione, raccontando i gravi risvolti dell’ingiustizia subita. Nel 2014 fu oggetto di un’inchiesta basata su sospetti di abusi sessuali nei confronti di minorenni. Non venne mai formalmente indagato né arrestato, ma una sua abitazione nello Yorkshire venne perquisita dalla polizia, ricevendo persino la copertura della tv pubblica Bbc. Due anni dopo gli inquirenti archiviarono le accuse nei confronti di Richard, senza neanche ipotizzare alcuna imputazione formale. La Bbc fu anche condannata a risarcire il cantante con 210 mila sterline (più 850 mila sterline per spese legali) per aver violato la privacy, e di fatto la presunzione d’innocenza, dell'artista nella copertura giornalistica del caso, trattato in forma eccessivamente sensazionalistica.

 

Ieri Richard ha utilizzato un modo di dire britannico (“People still believe there is ‘no smoke without fire’”) per sottolineare come, a distanza di anni, nonostante l’archiviazione definitiva delle accuse nei suoi confronti, le persone siano ancora convinte che in fondo lui abbia commesso quelle violenze, proprio in virtù dell’elevata copertura mediatica ricevuta dal caso. Il cantante ha anche raccontato che, a causa della vicenda, per quattro anni ha avuto difficoltà a dormire, per sei mesi il suo corpo si è riempito di eruzioni cutanee, e che si è sentito abbandonato a se stesso. “In quel momento mi è sembrato che la mia reputazione fosse stata completamente devastata”, ha detto Richard.

E’ per queste ragioni che il cantante ora auspica un “riequilibrio del sistema giudiziario” britannico, ponendo l’attenzione sulle centinaia – se non migliaia – di persone che come lui sono state vittime dello stesso trattamento, in alcuni casi passando anche del tempo in carcere sulla base di false accuse.

 

Il presentatore radiofonico Paul Gambaccini, arrestato nel 2013 con l’accusa di violenza sessuale e poi prosciolto, ha definito “squilibrata” la normativa attuale, che garantisce l’anonimato a vita alle vittime ma non agli indagati, neanche nella prima fase delle indagini, e ha lamentato “la nuvola del sospetto” che l’ha investito dopo essere stato arrestato.

La petizione sostenuta da Richard e Gambaccini ha già ottenuto oltre 16 mila firme. Ciò significa che il governo sarà tenuto a fornire una risposta ai firmatari della campagna. Affinché la proposta volta a garantire l’anonimato alle persone accusate di violenza sessuale sia discussa in Parlamento occorrono, però, 100 mila firme.