Alfonso Bonafede (foto LaPresse)

Perché gli errori giudiziari come quello del killer dei Murazzi rischiano di aumentare

Ermes Antonucci

Il killer di Leo era libero al momento dell'omicidio per colpa della solita macchina giudiziaria elefantiaca. E ora la riforma di Bonafede renderà ancora meno efficienti i nostri tribunali

Said Mechaquat, l’uomo che lo scorso 23 febbraio a Torino ha ucciso il 33enne Stefano Leo perché “aveva un’espressione felice sul volto”, non avrebbe dovuto essere in libertà in quel momento. Questo in virtù di una condanna a 18 mesi di reclusione per maltrattamenti in famiglia diventata irrevocabile ben nove mesi prima, nel maggio 2018, ma mai eseguita, per una mancata comunicazione tra la Corte d’appello di Torino e l’ufficio esecuzioni della procura. Colpa di una macchina giudiziaria elefantiaca, letargica e impantanata in un mare di pendenze arretrate. Ma chi in queste ore si sta (giustamente) indignando per un errore giudiziario così grave, costata la vita a un giovane ragazzo, dovrebbe allo stesso tempo sapere che tre giorni fa Lega e Movimento 5 stelle hanno approvato in Parlamento una riforma che non farà altro che ingolfare ancora di più la già lentissima giustizia italiana. Parliamo del disegno di legge che prevede l’abolizione del rito abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo. Se fino a oggi con il rito abbreviato, in caso di condanna, era possibile ottenere uno sconto di pena pari a un terzo (e, in alcuni casi, la sostituzione dell’ergastolo con una pena di 30 anni), con le nuove regole si esclude il rito speciale per chi è accusato di reati come la devastazione, il saccheggio, la strage, l’omicidio aggravato e le ipotesi aggravate di sequestro di persona.

 

“Con questa legge diamo un segnale fortissimo a tutti i cittadini. C’è la certezza della pena, non ci sono più gli sconti di pena a cui i criminali un po’ si sono abituati in questo paese quando ci sono reati gravissimi”, ha commentato gaudente il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

  

In realtà, se si guarda ai contenuti della riforma, si comprende come si sia di fronte all’ennesimo bluff populista, in cui si adottano misure che non risolvono in alcun modo i problemi individuati, anzi aggravati, e che per giunta rischiano di essere dichiarate incostituzionali.

  

Con l’abolizione di questo importante strumento deflattivo, a decidere sui casi non saranno più i giudici dell’udienza preliminare, bensì le Corti d’assise, che saranno così inondate di migliaia di procedimenti. Il maggior carico delle Corti d’assise, peraltro, come aveva segnalato nella sua audizione in Senato l’ex capo della procura di Milano, Edmondo Bruti Liberati, determinerà “una conseguenza negativa a cascata sui tribunali e le corti di Appello, che non potranno comporre i collegi che giudicano i reati ordinari”. A pagarne le spese, in altre parole, sarà tutto il sistema giudiziario.

  

Senza dimenticare, poi, i rischi di incostituzionalità della nuova disciplina, ben evidenziati in un’audizione alla Camera dall’ex procuratore aggiunto di Venezia, Carlo Nordio, con riferimento all’assenza di coerenza, armonia e omogeneità.

  

Insomma, grazie all’ultima riforma gialloverde avremo una giustizia ancora più lenta, col paradosso di veder aumentare i casi di inefficienza, tristemente emersi attorno all’omicidio di Torino.