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Fuori dal fango. Parla Raffaella Paita

Annalisa Chirico

I quattro anni per un’accusa assurda nella Genova di Grillo, le elezioni perse. Assolta

Roma. “Quattro anni sono una enormità nella vita di una persona”. Raffaella Paita ha la voce pacata, il temperamento misurato di una donna cresciuta a pane e politica, che si dice addestrata all’“autodisciplina”. “Sono abituata alla durezza della politica, soltanto le scorrettezze non accetto”, così si racconta al Foglio la deputata Pd finita al centro dell’inchiesta genovese per l’alluvione del torrente Bisagno. Assolta una prima volta, assolta una seconda. 9 ottobre 2014: la data della tragica esondazione che risucchia l’esistenza di un cinquantasettenne colpevole di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato.

     

Raffaella Paita, all’epoca dei fatti, è assessore regionale alla Protezione civile, scalda i motori per la corsa alla presidenza della Regione con il placet del suo mentore, il governatore uscente della Liguria Claudio Burlando; nel gennaio 2015 questa agguerrita quarantenne, attivissima sin dai tempi della Sinistra giovanile ed estimatrice di Matteo Renzi, partecipa alle primarie e sconfigge, con quattromila voti di scarto, l’avversario Sergio Cofferati. L’ex sindacalista grida ai brogli e sbatte la porta. A poco più di un mese dalle elezioni liguri, la procura genovese emette un avviso di garanzia. Alla candidata dem, accusata di omicidio e disastro colposo, i pm contestano, in particolare, di non aver diramato l’allerta in tempo utile. Lei, convinta della propria innocenza, ottiene il rito abbreviato e viene assolta. “Com’è noto, la valutazione tecnica, basata su diversi parametri, incluse le condizioni meteo, è in capo alla dirigenza responsabile e non rientra tra le competenze degli assessori, che non hanno neppure il potere di rimuovere un dirigente – argomenta Paita – In altre parole, non spettava a me decidere se fosse piovuto tanto o poco”. Ma la procura impugna l’assoluzione. Per il procuratore capo Francesco Cozzi e il pm Gabriella Dotto “Paita sapeva delle carenze dell’apparato amministrativo più volte prospettate dalla dirigente Gabriella Minervini. A fronte della consapevolezza delle carenze dell’apparato amministrativo e del quadro meteo allarmante già dal giorno precedente, l’ex assessore avrebbe dovuto prendere in mano le redini e intervenire perché rientra tra gli obblighi del ruolo di garanzia del politico”. Già soccombente in primo grado, la pubblica accusa crolla pure nel secondo. Pochi giorni or sono, Paita viene di nuovo assolta, su richiesta dello stesso sostituto procuratore generale Pier Carlo Di Gennaro. Fine della storia.

   

“I tempi della giustizia sono un’emergenza ignorata dalla politica – prosegue l’attuale deputata – Grazie al rito abbreviato, nel giro di quattro anni ho chiuso una vicenda che mi ha tolto il sonno e la salute. La dirigente Minervini, adesso in pensione, è in attesa del giudizio di primo grado”. Rimane l’amarezza per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato, per la débâcle elettorale inevitabilmente condizionata dal fango mediatico, dalle copertine infamanti, delle richieste politiche di un passo indietro. “Secondo molti, basta un avviso di garanzia a renderti una candidata scomoda, anzi una impresentabile. Alcuni esponenti del mio partito si accodarono alla richiesta sintetizzata da Beppe Grillo in un hashtag: #PaitaRitirati”. In quei mesi durissimi, lei appariva sempre più smagrita e fragile. “Senza mio marito e mio figlio, non so se avrei resistito. Anche Matteo Renzi ha saputo darmi forza e coraggio nei momenti difficili, il governo da lui guidato ha finanziato per primo l’intervento risolutivo sul Bisagno”. A proposito di opere, il progetto della Gronda, avversatissimo da Grillo, sembra ormai accantonato dai gialloverdi. “Quando ero assessore regionale alle Infrastrutture ho seguito l’iter di finanziamento dell’autostrada in Conferenza servizi. Adesso il governo sostiene di voler estromettere il concessionario, Autostrade, ma io mi domando dove troveranno i soldi”. Il Pd ha un nuovo segretario, Nicola Zingaretti. “Ho sostenuto Martina, tuttavia non farò a nessuno quello che è stato fatto a me. Il ‘fuoco amico’ può essere letale”. I sindacati sono tornati a posare in una photo opportunity al Nazareno: Maurizio Landini sfoggiava un sorriso smagliante. “Se qualcuno sposasse la proposta di patrimoniale, io sarei contraria. Va bene il dialogo con le parti sociali ma indietro non si torna”. E se Renzi, tra qualche mese, s’inventasse un movimento nuovo di zecca, lei lo seguirebbe? “Renzi ha un’idea di paese, fondata sul riformismo, che è anche la mia. ‘Mai con i Cinque stelle’ è la mia linea”.

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