L'interrogatorio di Giulia Ligresti, ex presidente FONSAI in procura a Torino (foto LaPresse)

Giulia Ligresti e la giustizia schizofrenica

Redazione

Innocente, dopo il calvario mediatico-carcerario. Le colpe del giustizialismo

È finito il calvario mediatico-giudiziario di Giulia Ligresti, figlia secondogenita di Salvatore, l’ex re del mattone e della finanza scomparso lo scorso maggio. Lunedì la Corte d’appello di Milano l’ha assolta definitivamente dalle accuse di falso in bilancio e aggiotaggio nel caso Fonsai, revocando la pena di 2 anni e 8 mesi che lei stessa aveva patteggiato nel 2013 dopo un duro periodo di custodia cautelare in carcere, in cui perse sei chili. Venne scarcerata dopo un mese e mezzo solo in seguito a una perizia medica sui danni alla salute provocati dalla detenzione. Poi, stremata, patteggiò la pena. Il caso finì sulle prime pagine dei giornali con la pubblicazione di alcune intercettazioni telefoniche in cui l’allora ministro della Giustizia, Anna Maria Cancellieri, amica di lunga data della famiglia Ligresti, prometteva che avrebbe sensibilizzato il Dap per verificare le condizioni di salute di Giulia. Un atto umanitario su cui però si scatenarono le richieste di dimissioni del M5s e persino della parte renziana del Pd.

     

Due anni dopo, l’indagine nei confronti del ministro venne archiviata. Non basta: lo scorso ottobre, Giulia Ligresti ha dovuto trascorrere altre tre settimane in carcere, vedendosi negato un percorso di messa alla prova alternativo alla detenzione. In mezzo, le contraddizioni di una giustizia schizofrenica: il fratello Paolo assolto in primo e secondo grado per gli stessi fatti per i quali Giulia aveva patteggiato; il padre Salvatore e la sorella Jonella condannati in primo grado, prima che le sentenze fossero annullate per incompetenza territoriale, con il processo trasferito a Milano e azzerato.

  

Lunedì scorso la parola fine, almeno per Giulia, con l’assoluzione definitiva. “Finalmente dopo più di sei anni si è arrivati alla verità”, ha detto. “È stata durissima ma non ho mai smesso di lottare e di avere fiducia nella giustizia, nonostante la violenza di essere stata messa in carcere, con tutto ciò che ne consegue, da innocente. Troppo spesso, in nome della giustizia, si commette la più grande delle ingiustizie: togliere la libertà a un innocente e abbandonarlo alla gogna mediatica”. Di certo, nonostante l’assoluzione, si fa fatica a parlare di “giustizia”.