Nino Di Matteo al Sum#02 di Ivrea (foto LaPresse)

Nino Di Matteo e lo spaventoso programma della giustizia a 5 Stelle

Ermes Antonucci

Più intercettazioni, più arresti, più sequestri preventivi, pene più alte, uso di agenti sotto copertura, abolizione della prescrizione. Ecco le ricette del magistrato, candidato Guardasigilli di un possibile governo grillino

Più intercettazioni, più arresti, più sequestri preventivi, pene più alte, uso di agenti sotto copertura, abolizione della prescrizione. Dalla convention di Ivrea dello scorso fine settimana sono giunte le ricette del Movimento 5 Stelle per la giustizia italiana. A delinearle non un oratore qualunque, ma il magistrato Nino Di Matteo, sostituto procuratore nazionale antimafia e pm del processo sulla presunta trattativa Stato-mafia. È stato lui, in un lungo – e applauditissimo – discorso di 29 minuti a elencare, in barba a ogni principio di separazione dei poteri, gli interventi legislativi che occorrerebbero al nostro Paese per “(ri)scrivere la giustizia”.

 

 

Il quadro rappresentato da Di Matteo alla platea è stato il solito, cioè quello di un’Italia in mano alla mafia: “È ormai evidente il grado di compenetrazione tra la mafia e il potere, anche politico e istituzionale” ha detto Di Matteo, arringando la folla. “Ancora oggi gran parte del sistema di potere, di cui quello mediatico-editoriale costituisce un’articolazione fondamentale, non capisce o finge di non capire o sottovaluta la gravità della questione, perché in fondo accetta il sistema mafioso-corruttivo come parte integrante, necessaria, e per certi versi persino utile, del sistema Paese”. Il pm non esita a gettare nel calderone “le sentenze Andreotti, Contrada, Cuffaro”, per poi citare anche la sentenza contro Marcello Dell’Utri, dalla quale – spiega – “emerge come sia stato stipulato, rispettato, mantenendo gli impegni da entrambe le parti, un patto nel 1974 e in vigore fino al 1992 con l’allora imprenditore Silvio Berlusconi”. 

 

E’ in questo trionfo di ciò che il professore palermitano Costantino Visconti ha efficacemente definito “populismo antimafia”, che a Di Matteo sfugge ogni riferimento a prove concrete (a cui un magistrato pur dovrebbe badare) con cui supportare la sua tesi. Così, il sostituto procuratore antimafia non spiega, ad esempio, i motivi per cui se un patto con la mafia è veramente esistito, Berlusconi non sia ancora stato condannato per mafia e Dell’Utri sia stato condannato sulla mera base di un reato-fuffa come il “concorso esterno”. Non spiega perché l’ex ministro Calogero Mannino sia stato assolto nel processo stralcio per la presunta trattativa Stato-mafia, facendo traballare ancora di più il procedimento principale in corso a Palermo. Non spiega, sempre Di Matteo, perché, a differenza di 30 anni fa, l’Italia non si ritrova oggi a vivere inerme nel bel mezzo di una stagione stragista, con bombe che esplodono in ogni angolo delle strade. Sarà forse perché i vertici delle principali organizzazioni mafiose presenti sul nostro territorio sono stati spazzati via e gli apparati criminali drasticamente ridimensionati dalla repressione dello Stato, vincente in questa battaglia?

 

Questa domanda non se la pone Di Matteo, che invece preferisce alimentare la retorica dello stato di guerra, aggiungendo un richiamo al “fenomeno corruttivo sempre più dilagante” (sulla base di quali dati non è dato sapersi), senza disdegnare anche spolverate no-global (“La mafia introita capitali che immette nel circuito produttivo, facendo così girare l’economia e consolidando il sistema capitalistico”).

 

E’ la retorica dell’assedio, terreno fertile indispensabile per poter individuare gli eroi, i salvatori a cui affidare ogni potere per condurre la battaglia. Eroi, in questo caso, rappresentati dalle toghe, che sarebbero peraltro ostacolate in questo slancio salvifico dalla politica: “Da decenni è in atto una guerra di una parte consistente della politica contro quei magistrati che hanno avuto e continuano ad avere la pretesa di esercitare il controllo di legalità a 360 gradi, anche nei confronti dei potenti”.

 

Chiarito lo stato di guerra, ecco le soluzioni da Stato di polizia. Primo: “Ampliamento delle ipotesi di reato che consentono le intercettazioni telefoniche e ambientali” (nonostante l’Italia oggi sia il Paese in cui i cittadini sono più intercettati al mondo, per una spesa annuale che raggiunge i 250 milioni di euro). Secondo: “Previsione dell’utilizzo delle operazioni sotto copertura anche per i reati di corruzione”. Terzo: “Equiparazione della disciplina sulle misure di prevenzione patrimoniali già in vigore per gli indiziati mafiosi ai casi più gravi di corruzione” (una follia giuridica che annienta il principio di presunzione di innocenza, già realizzata con l’approvazione del nuovo codice antimafia). Quarto: “Riforma copernicana delle norme sulla prescrizione, che preveda che il decorso del termine cessi al momento in cui lo Stato, con l’esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero, aziona la sua pretesa punitiva” (in altre parole, abolizione della prescrizione; i cittadini devono poter essere processati anche per 20 o 30 anni, fino a quando non si raggiunge la sentenza). Quinto: “Affievolimento del principio accusatorio: oggi tutto ciò che è stato acquisito nell’ambito delle indagini preliminari non può costituire di per sé prova immediatamente valutabile dal giudice di dibattimento” (vale a dire ritorno al sistema inquisitorio, dove non esiste distinzione tra accusatore e giudice, che decide senza neanche ascoltare le parti). Infine: “Innalzamento delle pene per i reati di corruzione, turbativa di gare pubbliche, voto di scambio e i delitti dei colletti bianchi”.

Queste sono le proposte di un possibile futuro ministro della Giustizia. Che dire? Auguri a tutti.

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