Alessio Zaccaria durante una seduta del Csm (foto LaPresse)

Chi è Alessio Zaccaria, la riserva della repubblica grillina

Marianna Rizzini

Membro laico del Csm scelto dai Cinque stelle con i voti del Pd, docente di Diritto, papabile per “ruoli di peso”

Roma. C’è un nome che ricorre, in questi giorni. Non è un nome-bandiera, di quelli che fuggono veloci sulla superficie dei tavoli da trattativa pre consultazioni. E’ un nome sussurrato a livello di “riserve della Repubblica” presso il quartier generale a Cinque stelle – e proprio per questo è nome anfibio: emerge e si inabissa per poi rispuntare all’improvviso. Si è sentito forte e chiaro a un certo punto del 2014, poi quasi nulla fino a oggi. E però oggi Alessio Zaccaria, già professore di Diritto privato prima nella sua Ferrara e poi a Verona – nonché consigliere laico del Csm, indicato nel 2014 dai Cinque stelle e votato anche dal Pd per un totale di 537 voti, 88 in più di quelli necessari – è l’uomo a cui nel M5s si pensa quando si discute dei cosiddetti “posti di peso”, come dice un conoscente di Zaccaria che tuttavia specifica: “Il professore non si è mai fatto motore in prima persona di questo tipo di movimenti, anzi”.

 

Fatto sta che il consigliere laico del Csm, pur non potendo essere riconfermato tra pochi mesi, quando il mandato scadrà, né potendo essere scelto per altri incarichi all’interno del medesimo organismo (bisogna infatti in ogni caso saltare almeno un giro), è considerato “personalità di livello” e dunque personalità che potrebbe risultare adatta, oltre che gradita al M5s, a eventuali ruoli delicati in gangli governativi (c’è chi dice “in un ruolo tecnico chiave a Palazzo Chigi”) attorno a chi governerà, anche in caso il premier non fosse un Cinque stelle; chi dice in un ministero e chi nei futuri assetti del cda Rai. Come se (apparentemente) tutto avvenisse senza la diretta collaborazione dell’interessato. Zaccaria, dice per esempio il professor Mauro Tescaro, suo ex allievo e collaboratore, oggi docente di Diritto a Vicenza, “almeno per come lo conosco, non cerca affatto la notorietà e non ama che si parli pubblicamente di lui, nemmeno per lodarlo”. Tescaro ha conosciuto Zaccaria in anni lontani, quando l’attuale consigliere del Csm poteva ben festeggiare i dieci anni della facoltà giuridica veronese, che aveva quasi “fondato”, dice l’ex collaboratore, “credendo a suo tempo nella scommessa – poi ampiamente vinta – di creare una facoltà di Giurisprudenza a Verona”, con un’esibizione in concerto per chitarra classica (musiche del Settecento) e accompagnamento di una serie di letture di Arnoldo Foà tratte dal “Viaggio in Italia” di Goethe. “Ha una predilezione per le auto d’epoca”, dice invece Pierantonio Zanettin, ora eletto alla Camera per Forza Italia ma fino a poco tempo fa “collega” laico al Csm di Zaccaria. Zanettin dice che Zaccaria, “oltre ad avere un curriculum straordinario per gli studi giuridici comparati, specie in Germania”, tanto da essere stato più volte “utile in seno al Csm nel campo dei rapporti internazionali”, è “considerato trasversalmente persona seria e affidabile”.

 

Ma è l’antefatto di metodo, oltre al curriculum, che rende Zaccaria, oggi, nome dei sogni negli organigrammi immaginati a Cinque stelle: nel 2014, infatti, il professore è stato scelto dai Cinque stelle per il Csm, dopo mesi di stallo in Parlamento, anche e proprio perché “indicato dal basso”, e cioè dagli ex studenti (il particolare è confermato oggi da Tescaro: “Nonostante la rimarchevole severità, il professore è sempre stato amato dagli studenti. Lo dico per esperienza, essendomi laureato con lui ed essendogli enormemente riconoscente: la parte preponderante di quello che ho imparato lavorando in ambito accademico la devo a lui”).

 

Quell’indicazione dal basso, a suo tempo, sul blog di Beppe Grillo, era stata considerata garanzia di non appartenenza alla tanto vituperata casta. E il fatto che il Pd, allora, avesse infine votato il candidato “al di sopra dei giochi”, viene considerato oggi utile precedente: nell’incertezza della partita governativa, e nelle sacche del gioco “dei due forni” di Luigi Di Maio, come dicono gli amanti del paragone “M5s-Dc”, un nome gradito al Pd, e già votato dal Pd, può fare la differenza. Non c’entra l’appartenenza politica: “Il professor Zaccaria è grillino come io sono baby-sitter”, dice scherzando un funzionario del Csm, per sottolineare che il nome del consigliere laico, in prospettiva futura, “ricorre a prescindere dal grado di grillismo intrinseco”. E chi c’era, nei giorni concitati del 2014 che avevano preceduto la sua elezione, ricorda che lo “sblocco sul nome di Zaccaria con l’aiuto del Pd”, pur facendo sorgere dubbi, allora, “sulla già scricchiolante tenuta del patto del Nazareno”, aveva comunque “dato un indizio di possibile geometria alternativa”.

 

Erano allora giorni di palude sulla legge elettorale, e tutti quei voti convergenti sul candidato giurista erano parsi di buon auspicio (anche se ovviamente non in Forza Italia, dove Francesco Paolo Sisto aveva ricordato il caso del tentato scouting di Pierluigi Bersani nel 2013: “Il Pd che dialoga con il M5s non è un buon esempio da seguire”), tanto più che Grillo, dal blog, lungi dal lodare quel convergere del Pd sul nome a Cinque Stelle, e nonostante le nomine fossero state approvate dagli attivisti in Rete, la buttava ancora sull’autarchia: “Per la prima volta nella storia, dalla rete alle istituzioni: il M5s sblocca il Parlamento”. Da quel momento Zaccaria, noto fino ad allora soprattutto per gli studi sul regime patrimoniale della famiglia, già preside di Facoltà a Verona a inizio anni Duemila, già promotore di un Dottorato di ricerca internazionale in Diritto privato europeo, con “consorzio” tra le Università di Verona, Trieste, Teramo, Parma e Ragensburg, entrava al Csm e rientrava nell’ombra. Ma ombra relativa: nel 2017, infatti, nel M5s si cominciava a fare il suo nome come quello del possibile futuro ministro della Giustizia (posto “immaginato” poi andato al deputato del M5s Alfonso Bonafede). E insomma i posti immaginati cambiano, ma Zaccaria, nei disegni del M5s, è pur sempre la costante.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.