Sereno alla meta. Alexey Lutsenko vince la 6a tappa del Tour de France

Il kazako è un corridore preciso, uno che le cose se le studia, che non lascia niente al caso, perché per affidarsi al caso c'è bisogno di troppo talento e troppa forza. Al Mont Aigoual ottiene la prima vittoria alla Grande Boucle

Giovanni Battistuzzi

“Che corridore è Alexey Lutsenko? Sereno. Alexey è un ciclista sereno”. Nel gennaio del 2013 Aleksandr Vinokurov era diventato da poco un ex corridore e da ancor meno il general manager dell'Astana. Lutsenko invece era appena passato professionista e, per quello che aveva fatto vedere tra i dilettanti (vinse, tra le altre cose il Mondiale U23 nel 2012), in molti erano convinti che fosse l'erede legittimo di Vino. “Non ho bisogno di eredi, ho bisogno di corridori capaci. Alexey lo è. Mi spiace deludervi ma siamo molto diversi: io ero più inquieto. Alexey invece è un corridore sereno. Ed è un bene, l'inquietudine ti fa sprecare energie”.

 

Alexey Lutsenko è rimasto sereno in questi anni. Non è cambiato. Lo si vede nello sguardo, nei gesti, nel modo di pedalare. Ed è sereno perché il kazako è uno preciso, uno che le cose se le studia, che non lascia niente al caso, perché per affidarsi al caso c'è bisogno di troppo talento e troppa forza. E Lutsenko sa benissimo di non essere un fenomeno: “Avessi fatto affidamento solo al talento avrei fatto ben poco in bicicletta. Il ciclismo è una questione di costanza e serietà”, disse alla tv kazaka dopo il nono posto ai Mondiali di Bergen 2017. Poi aggiunse: “La fortuna è che è più facile essere serie e costanti quando fai quello che ti piace fare”.

    

Se ne è accorto a fine lockdown, dopo quasi due mesi di rulli: “Mia moglie ha detto che sembravo pronto per il mio primo giorno di scuola”, ha detto a Cyclingnews. Gli ci è voluto un po' per riabituarsi alla strada: “Mi sono ritrovato dopo due quasi due mesi passati tra quattro mura a condividere la strada con le auto, ad affrontare dossi e curve. È stato piuttosto strano. Almeno per la prima mezz'ora”. Si è riabituato in fretta anche alle gare: Strade Bianche, Gran Trittico Lombardo, Sanremo, Delfinato, “per far la gamba”, aveva detto pochi giorni dal via del Tour de France. In Francia ci era arrivato con le idee chiare: “C'è da lavorare per Miguel Angel Lopez. Ma ci sono due o tre tappe adatte alle mie caratteristiche”. Il percorso lo aveva studiato bene, come suo solito. Toccava aspettare il giorno buono. E il primo giorno buono era oggi.

 

Così Alexey Lutsenko si è dato da fare per centrare la fuga giusta. E quando si è trovato davanti si è dato da fare per alimentarla. Poi ha aspettato il momento buono, il punto che sapeva essere quello giusto. E lì è scattato. Per un po' ha condiviso la testa della corsa con Neilson Powless, poi, appena ha visto una smorfia di fatica di troppo nel volto dell'americano ha staccato pure lui. In cima al Mont Aigoual Alexey Lutsenko è arrivato solo, prima vittoria al Tour de France, con l'espressione serena di sempre.

      

Lo stessa espressione che sfoggiò il 23 settembre 2017 quando transitò davanti all'eremo di Santa Lucia che sorveglia dall'alto Alcossebre, sotto il traguardo della quinta tappa della Vuelta a España. La stessa che conservò anche dopo essere sceso di bicicletta, quando diede una pacca sulle spalle al massaggiatore dell'Astana, gli sorrise e gli disse: “Hai visto? Te l'avevo detto”.

 

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