Mark Cavendish premiato da una miss al Tour de France 2016 (foto LaPresse)

Sicuri che il sessismo sia solo sul podio del Tour de France?

Giovanni Battistuzzi

Il #metoo del palco. Gli organizzatori della Grande Boucle istituiscono le premiazioni sessualmente corrette: al fianco di una miss ci sarà un mister. Il ciclismo femminile però viene ancora snobbato 

Ormai non ha alcuna importanza il fatto che fossero state proprio le femministe a volere le donne sul podio del Tour de France. Sono cambiati i tempi e con loro anche le femministe. Le trentottomila firme consegnate agli organizzatori per chiedere di “farla finita con la pessima abitudine di considerare le donne come oggetti e ricompense” sono argomento ben più moderno di quello usato verso la fine degli anni Quaranta con il patron della Grande Boucle Jacques Goddet: “Vietare l'accesso finale di tappa alle donne è barbarie”. Fino al 1947 questa era la regola voluta dal fondatore del Tour Henri Desgrange.

 

Il direttore della corsa Christian Prudhomme ha deciso che d'ora in poi ci dovrà essere parità di genere sui podi. A premiare i corridori ci saranno una donna e un uomo. Sia mai che a togliere del tutto le miss potessero accusarlo di discriminazione.

 

“Ha vinto la facile ideologia”, dice al Foglio Anne Lettier, in gioventù ciclista, poi modella, ora a capo di un'agenzia di comunicazione a Losanna. “Ho fatto la miss per tre anni. Ed è stata un'esperienza che rifarei. Non c'ho mai visto nulla di male. Anzi. Nel mio caso mi ha permesso di conoscere chi, oltre a un bel viso e a un bel corpo, ha visto in me anche capacità e talento”. Il problema per Lettier “è che viviamo in una società che in buona parte si basa sull'immagine, che però ha iniziato a condannare un certo tipo di esibizione. E condannando questo pensa di sistemarsi la coscienza e si convince che il resto è tutto ok. Però non è tutto ok. Perché esiste un problema di discriminazione e di sessismo, ma è molto più semplice criticare le miss sul podio che riflettere sulle problematiche reali. Io avrei continuato a correre volentieri. Non ce l'ho fatta perché arrivata a 20 anni qualcosa vorresti pure guadagnare. Stando sui podi del Giro di Svizzera potevo permettermi di aiutare i miei genitori a pagare la retta universitaria. Stando su di una bicicletta no”.

   

Il ciclismo, più di altri sport, va avanti se ci sono sponsor che investono. Aziende o gruppi che pagano per avere il proprio marchio sulle magliette degli atleti, sui cartelloni agli arrivi e lungo la strada. Così è per gli uomini, così è per le donne. Il ciclismo maschile ha al momento un giro d'affari notevolmente maggiore di quello femminile. E proprio per cercare di ridurre il gap, per allargare il bacino di appassionati e conseguentemente il numero delle sponsorizzazioni (e ridurre i costi di gestione), che diverse corse hanno deciso di organizzare lo stesso giorno sia la gara maschile che quella femminile. L'idea sta funzionando e ha permesso negli ultimi anni di dare una visibilità maggiore al ciclismo delle donne. Stime della federazione francese parlano di un'incremento di seguito di circa il 20 per cento in due anni.

 

L'Aso, la società che organizza il Tour de France e molte altre corse di livello mondiale (dalla Vuelta alla Roubaix passando per Liegi, Parigi-Nizza e Delfinato), ha seguito questo esempio: nel 2017 ha dato il via alla Liegi-Bastogne-Liegi femminile e da quest'anno farà debuttare in calendario la Parigi-Roubaix femminile (anche se più per assecondare le insistenze dell'Uci che per reale convinzione). E questo è un bene per tutto il movimento ciclistico. Ancora meglio sarebbe se Aso iniziasse a prendere quanto meno in considerazione la possibilità di organizzare una grande corsa a tappe femminile. Il Tour del France femminile infatti non si corre dal 2009 e dal 1992 non poteva nemmeno chiamarsi più Tour perché la Société du Tour de France, che proprio in quell'anno venne comprata da Aso, impose il cambio di nome: divenne Grande Boucle Féminine.

 

Un disinteresse che non riguarda solo la versione femminile del Tour. In più occasioni gli organizzatori del Tour cycliste féminin de l'Ardèche aveva chiesto all'Aso di dare una mano a quella che oggi è la più importante corsa a tappe francese. Ad organizzarla è un gruppo di 110 volontari, quasi tutti pensionati, autorizzati dal Vélo Club Vallée du Rhône Ardéchoise. Uomini e donne che si moltiplicano nei giorni di gara (più di seicento) e che più volte hanno in questi anni provato a rivolgersi alla federciclismo francese all'Aso. Venendo però sempre snobbati. “Quello che mi addolora è la mancanza di interesse che dimostrano certe organizzazioni quando si parla di sport femminile e noi, le volontarie, non possiamo fare di più, abbiamo bisogno del sostegno delle istituzioni per continuare e rendere la corsa ancor più importante”, ha detto a Le Point Dany Spires, direttore tecnico dell'evento, 72 anni.

   

Un podio politicamente e sessualmente corretto non ci farà inorridire, le miss sul palco di premiazione non sono necessarie. Necessario è invece non far finta che il problema sia risolto mettendo un mister affianco a una miss. Perché se è discriminatorio e sessista far premiare i corridori dalle donne, lo è ancor più non interessarsi di tutte quelle professioniste che su di una bicicletta si allenano e corrono ogni giorno.

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