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Giù le mani dai lanciatori di borracce

Giovanni Battistuzzi

Nel ciclismo non sono solo contenitori d'acqua, sono un simbolo e un trofeo. L'Uci però alla Omloop e alla Kuurne-Brussel-Kuurne inizierà a multare i ciclisti che se ne sbarazzeranno in corsa

Passano di mano in mano, di tasca in bocca. Stanno attaccate ai telai o tra le labbra dei corridori. Sono agognate col caldo, indispensabili sempre. Peso o salvezza a seconda delle occasioni. Sono contenitori gregari, sono passeggere, sono bagnati sempre, volanti a volte. E quando volano si animano, diventano luogo e ora, immagine e ricordo, si trasformano da oggetto in trofeo, distintivo di presenza, qualche volta addirittura simulacro. Quando volano atterrano sempre e sempre spariscono. Finiscono in altre mani, su altri telai oppure a prender polvere su mensole. Quel che è certo è che le borracce non stanno mai tra i prati a bordo strada, perché tra i prati a bordo strada pascolano i sogni di giovani e meno giovani e in questi sogni una borraccia è molto di più di un contenitore in plastica. E lo è a ogni latitudine, in Francia come in Italia, in Spagna come in Belgio.

 

  

Per l'Uci, il massimo organismo del ciclismo mondiale, la borraccia invece è solo un contenitore in plastica. E il gettarla a bordo strada è quasi un reato. Il commissario dell'Union Cycliste Internationale Philippe Marien ha detto al quotidiano belga Het Nieuwsblad che "gettare borracce e altra spazzatura sulla strada non è più accettabile" e così alla Omloop Het Nieuwsblad e alla Kuurne-Brussel-Kuurne "multeremo i corridori che le lanciano". Dai 200 ai 500 franchi svizzeri l'ammenda, a meno che non venga "concessa dolcemente al pubblico". Quanto meno l'Uci ha un cuore, e sa ancora distinguere la dolcezza.

  

Evviva la dolcezza allora, ché "dolce è la bicicletta, delicato il suo flusso", almeno per il pittore Aligi Sassu. Che "in bicicletta si impara a soffrire, tutti diventano uguali, uomini su due ruote e la fatica diventa condivisione, su di una bici si impara l'altruismo", almeno per don Milani. E "la borraccia è una forma di altruismo, il suo lancio un tributo, il dono che il ciclismo fa ai suoi fedeli", almeno per Mario Soldati. Ricordò lo scrittore alla radio, che una volta "verso la cima del monte si presentò Merckx incurvito e per una volta sofferente, scottato da un sole che spremeva ogni forza. Pure i tifosi erano ormai sfibrati dalla canicola dell'attesa, incapaci anche solo a pensare di spingere gli atleti. Ma quando il campione prese in mano la borraccia e la gettò in terra ormai secca, d'un tratto un ragazzino trovò le forze per uno scatto. Conquistò il trofeo, il suo sorriso divenne il sorriso del popolo del ciclismo". Lo stesso sorriso che è esploso nel volto di un bambino spagnolo quando George Bennett alla Vuelta dell'anno scorso gli fece omaggio della borraccia. 

 

  

Ben venga responsabilizzare gli atleti a non gettare carte, bustine, gel e qualsiasi altra monnezza per strada, "ma vietare il lancio delle borracce mi pare assurdo", ha commentato il belga Greg Van Avermaet. D'altra parte sono gli spettatori, bambini e non solo, "che le desiderano come souvenir". Perché, soprattutto, il raccogliere borracce "appartiene al fascino della corsa". A tal punto che in Sardegna, a Terralba, dal 2015 c'è un “Museo della borraccia”.

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