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Ciclismo, passione di Colombia. La Colombia oro y paz e l'epica degli scalatori erranti

Giovanni Battistuzzi

La nuova corsa a tappe partirà oggi da Palmira e si concluderà domenica a Manizales (Torre de Chipre). C'è tutto il meglio del ciclismo di Bogotà: da Quintana a Uran, passando per Bernal e Gaviria

Raccontano le cronache che il 21 marzo del 1994 sul Mirador de Santa Elena a osservare gli scatti di José Jaime González, per tutti gli appassionati Gonzàlez Pico (due volte maglia verde di miglior scalatore al Giro d'Italia), su per i 17 chilometri che portano ai 2.504 del monte sopra Medellín si fossero arrampicate centociquanta mila persone. "La folla ha invaso la montagna – scrisse El Espectador – tanto che l'erba a bordo strada quasi non si vedeva più e anche l'asfalto, solitamente largo, non era più ampio di un paio di metri". E questo nonostante il maltempo che imperversò sulla regione per quasi tutta la settimana di corsa.

 

 

Erano quegli gli anni delle fughe su e giù per le montagne italiane e spagnole di Hernán Buenahora e Luis Filipe Moreno, di quelle per monti francesi di Julio César Cadena e Ángel Yesid Camargo Ochoa. Erano gli anni immediatamente successivi alle scalate di Luis Herrera, maglia di miglior scalatore in tutti e tre i grandi giri e vincitore di tappe al Tour e di una Vuelta, e alle vittorie transalpine di Fabio Parra. Era il decennio della grande Colombia a pedali, di quei corridori che sembravano stati creati per sconvolgere le corse, per volare in salita, per rendere le ascese ancor più lunghe e ancor più dure di quello che lo erano per davvero. Era l'epopea degli scalatori erranti.

 

Per quella generazione di scalatori un intero paese impazzì. "Al Nemesio Camacho (lo stadio della capitale colombiana, ndr) una cosa così non si è mai vista. Gli spettatori raggiungono a malapena le ventimila unità", scriveva il Tiempo, il maggior quotidiano di Bogotà. "Per la partita più importante dell'anno, quella tra il Millonarios e l'América de Cali, formazioni che si odiano da quando il calcio esiste in Colombia, il tutto esaurito era la normalità". Ma non quel giorno. Non quel 12 aprile 1992. A Bogotà arrivava la Vuelta a Colombia e c'era Fabio Parra da applaudire dopo undici anni di tentativi vani di vittoria.

 

La Vuelta a Colombia si corre ancora, l'edizione del 2018 si terrà (forse) tra agosto e settembre. Ma dei fasti antichi – la prima edizione della corsa risale al 1952 – rimane il nome e nulla più. Troppi problemi burocratici, troppe lotte interne tra intoccabili della federazione e vecchi dirigenti messi lì a svernare: e così gli sponsor fuggono e con loro i ciclisti.

 

La prima edizione della Colombia oro y paz 

La Colombia però non poteva rimanere a secco di grande ciclismo. Non poteva per storia passata e per protagonisti recenti. Gli assi di oggi (da Nairo Quintana a Rigoberto Uran, da Sergio Henao a Fernando Gaviria) e quelli di domani (soprattutto Egan Arley Bernal, ex Androni ora alla Sky), non potevano non avere un grande palcoscenico nazionale.

 

L'anno scorso l'idea: una corsa a tappe di sei giorni, tre frazioni per gli sprinter e tre per scalatori. Ieri la presentazione, oggi il via. E' Colombia Oro y Paz, è la prima edizione ed è una corsa che, almeno sulla carta sembra stupenda, nonostante il percorso potesse essere più duro, più selettivo. Ma ogni corsa deve adeguarsi ai tempi e alle necessità. "Quando è stata pianificato il percorso, molti di noi hanno chiesto alla Federazione colombiana di non renderlo troppo difficile", ha detto ieri Nairo Quintana. "Gli organizzatori avrebbero progettare frazioni con 5.000 metri di dislivello, ma non siamo pronti per tale difficoltà a questo punto dell'anno". E così saranno sei montagne da scalare, tre arrivi in salita, due volte sopra i mille metri. In ogni caso il bengodi per uno scalatore.

 


Tutte le tappe e le altimetrie della corsa

  

Quintana vuole vincere la corsa senza strafare, Rigoberto Uran, terzo all'ultimo Tour de France, anche. Ma a rovinare i loro piani c'è altro: ci sono giovani in cerca di un palco (Bernal ma non solo, c'è Ivan Ramiro Sosa e Aldemar Reyes) e cagnacci da salita (da Jarlison Pantano a Sergio Luis Henao), ci sono avventurieri pericolosi come Julian Alaphilippe e Darwin Atapuma e vecchietti che in Sud America hanno ritrovato la voglia di faticare in bicicletta come Oscar Sevilla.

 

C'è soprattutto tutto il meglio di una nazione che ha ancora fame di ciclismo, che ancora, e forse ancor più di un tempo, sta pensando in grande, sta credendo di poter essere una delle nazioni guida di questo sport. Perché da quando i colombiani si affacciarono all'Europa a oggi di strada ne hanno fatta. E non sono solo chilometri. E' organizzazione e crescita dei talenti, è progettualità e mobilità. E' soprattutto passione, quella solita, quella che portava oltre vent'anni fa centociquanta mila persone sul Mirador de Santa Elena e che ne ha portate ieri oltre quattromila in uno stadio per la presentazione delle squadre.