Giro di Foglio

Sullo Zoncolan vince Rogers, Quintana fa suo il Giro che rischiava di fermarsi a Maniago

Giovanni Battistuzzi

Basta una parola: Zoncolan. Non un monte. Un calvario. Ecco cos’era la tappa di oggi vinta da Rogers. Ultima frazione di montagna, penultima di questo Giro d’Italia, abbastanza bello, non eccezionale, ma tant’è. Ormai è andato. Quindi aspettiamo il prossimo anno. Una cosa è certa però: il prossimo anno non me lo faccio più in gruppo. Troppa fatica e neanche il buffet gratuito a pranzo. Oggi 167 chilometri e arrivo in salita sullo Zoncolan.

    Quanto narrato in questo articolo è opera di fantasia. Ogni riferimento a cose, persone o fatti realmente accaduti è (quasi) puramente casuale. Nessun ciclista è stato maltrattato nella realizzazione di questo servizio.

    Basta una parola: Zoncolan. Non un monte. Un calvario. Ecco cos’era la tappa di oggi vinta da Rogers. Ultima frazione di montagna, penultima di questo Giro d’Italia, abbastanza bello, non eccezionale, ma tant’è. Ormai è andato. Quindi aspettiamo il prossimo anno. Una cosa è certa però: il prossimo anno non me lo faccio più in gruppo. Troppa fatica e neanche il buffet gratuito a pranzo. Oggi 167 chilometri e arrivo in salita sullo Zoncolan. Difficilissimi, anche perché prima del Kaiser, così chiamano affettuosamente il monte gli appassionati, ci sono da affrontare il Passo del Pura e la Sella Razzo, non proprio una passeggiata. In pratica oltre 3800 metri di dislivello.

    Più che una salita, lo Zoncolan è una parete. Pendenza media oltre il 10 per cento, pendenza massima che supera il 22 per cento. Mi fanno già male le gambe a pensarci. Talmente male che mi sono già attrezzato. Non lo scalerò su di una bicicletta, ma su di un asino che mi ha messo a disposizione Marzio Bruseghin, che intelligentemente si è ritirato dal ciclismo dopo tanti anni per darsi all’allevamento degli asini e alla produzione di prosecco, che si beve tutto da solo credo, visto che il suo Amets non l’ho mai visto in giro.

    Mattinata piena di polemiche al Giro. Quel maledetto del mio avversario prussiano per paura di andare fuori tempo massimo e faticare troppo ha fatto una cosa che non andrebbe fatta: ha messo i bastoni tra le ruote all’organizzazione. Quel cane ha chiamato Amnesty International e l’Osce sostenendo che affrontare una salita del genere, con pendenze così difficili è una forma di tortura. I delegati delle due associazioni hanno così bloccato la corsa e messo i sigilli alla partenza. Chiedo informazioni. Non me le vogliono dare. Insisto. “Non  possiamo darle, abbiamo calcolato lo sforzo che i corridori dovranno fare e abbiamo sentenziato che in effetti si tratta di tortura. Non ho altro da dire. Oggi non si corre”.

    Ci riuniamo noi corridori. C’è chi è per non correre e rispettare le sentenze di Osce e Amnesty, c’è chi è contrario e vuole correre lo stesso, c’è chi è per correre ma sino ad Ovaro, là dove inizia lo Zoncolan, infine, c’è chi è per guardare tutto il giorno Maria Elena Boschi che era passata lì per caso dopo aver accolto dei bambini di Gorizia che sono atterrati all’aeroporto di Ronchi dei Legionari dopo una gita a Monaco di Baviera. Siamo tutti concordi sul fatto che Maria Elena Boschi sia bellissima e che sarebbe fantastico poterla osservare tutto il giorno, però prendiamo una decisione diversa. Su suggerimento del gruppo chiamo Putin. Mi dice che ha un piano per aiutarci, ma vuole Rovigo. Gliela concediamo. Immediatamente sequestra i delegati Osce e la corsa può iniziare.

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    Anzi no. Arrivano i delegati dell’Uci, l’Unione Ciclistica Internazionale. Ci dicono: “La metà dei corridori hanno valori ematici fuori dalla norma”. Rischio doping per tutti. In gruppo c’è sgomento. Ci si guarda tutti biecamente per capire chi ha tradito la fiducia di tutti. Sono momenti nei quali si resta senza fiato. I delegati Uci avvisano che i valori più sospetti sono quelli miei e di Franco Pellizotti. Siamo stupefatti. Incredibile. Ci portano in una struttura a parte e ci rifanno gli esami. Sono uomini piccoli, con grossi occhiali e facce acuminate. Controllano. Valutano. Infine ci danno il referto. Siamo dopati di frico (piatto a base di formaggio di malga cotto con burro, e a volte patate, della tradizione culinaria carnica). Ci dicono che il frico essendo un alimento ipercalorico è da considerarsi la benzina dal 2100: incrementa le prestazioni. Ci lamentiamo. Sono inflessibili. Glielo facciamo assaggiare. Buonissimo. Si addormentano immediatamente tanto sono pieni. Gli svegliamo. Sentenziano: troppo buono, non è doping, possiamo partire.

    Partiamo. Il gruppo lascia andare la fuga perché davanti c’è Arashiro che è l’unico giapponese in gruppo e, dato che l’economia giapponese è l’unica a crescere in modo incredibile, è conveniente per tutti che il giapponese si faccia vedere: porta sponsor. Tutti stanno ancora digerendo l’abbuffata della sera prima. Quindi ben venga la fuga. Tra i fuggitivi c’è Pellizotti che essendo friulano è avvantaggiato nella digestione. Furbo. Ha offerto la cena a tutti per andare a conquistare la vittoria sullo Zoncolan. Lo ingaggio subito per la SebastianVettel Pro Cycling in quanto corridore più scaltro di tutti.

    Passano le prime due salite. Si arriva sulle rampe dello Zoncolan. Mi stacco subito. Mi nascondo dietro un pino, saluto Bruseghin e prendo l’asino. Animale simpaticissimo. Si chiama Rigoberto Uran come lo scalatore colombiano, ma è di Udine. Precisa che però non è figlio della Carrà, ma di Barbara D’Urso. Lo compatisco.

    Saliamo. Davanti la fuga va. Rimangono soli Rogers, Bongiorno e Pellizotti. Franco è il primo a perdere contatto. Lo sanno tutti perché: il prussiano, sapendo che lui è uno dei miei uomini gli ha stretto il freno posteriore per fargli fare più fatica. Tutti sanno anche che Rogers ha firmato per il mio rivale dopo la vittoria a Savona. Quindi per favorirlo, ha disseminato sui amici lungo la salita per favorire i suoi e spingere il mio asino per farmi andare più forte e permettergli di ottenere la maglia nera. Succede così che viene buttato giù dalla sella da uno dei suoi che con la scusa di spingerlo lo butta quasi addosso all’australiano; Rogers è rimasto solo e si invola verso la vittoria. Vince. Peccato per i miei.

    Con me il prussiano invece ha toppato. L’asino Rigoberto Uran è troppo intelligente e ha eliminato tutti i suoi uomini a suon di alitate. Per l’occasione infatti non si era lavato i denti per tre settimane. Bravissimo. Arrivo al traguardo ultimo e trionfo. Ce l’ho fatta, ormai la maglia nera è mia.

     

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