Europa Ore 7

Orbán toglie al Ppe il problema Orbán

Il primo ministro ungherese sarà isolato in Europa al pari del PiS polacco: più esposto a procedure di infrazione e, in prospettiva, alla possibilità di vedersi sospendere il diritto di voto al Consiglio

La permanenza di Orbán aveva provocato una frattura sempre più larga tra l'ala conservatrice (Cdu-Csu e Forza Italia), compiacente con il premier ungherese, e quella liberale (le delegazioni dei paesi nordici e dell'est) che invece chiedeva l'espulsione

Viktor Orbán ieri ha deciso di lasciare il gruppo del Partito popolare europeo, evitando l'umiliazione di vedere il Fidesz sospeso o espulso dalla più grande formazione del Parlamento europeo. Ma, lungi dall'essere una chiamata alle armi delle forze populiste e sovraniste, la mossa rischia di trasformarsi in un boomerang che farà perdere a Orbán influenza e protezione nell'Ue. Il primo ministro ungherese sarà isolato in Europa al pari del Partito Legge e Giustizia (PiS) polacco: più esposto a procedure di infrazione e, in prospettiva, alla possibilità di vedersi sospendere il diritto di voto in seno al Consiglio per le violazioni sistematiche allo stato di diritto. Il Ppe perde dodici deputati ungheresi, ma senza conseguenze negative sugli equilibri interni al Parlamento europeo, dove rimane la prima forza davanti ai socialisti. Semmai la famiglia popolare si è liberata dal suo più grande peso, quello di un capo di stato e di governo che da anni sfida apertamente l'Ue, le sue regole e i suoi valori fondamentali.

Il voto di ieri all'interno del gruppo del Ppe che ha provocato l'uscita di Orbán “è un segnale di forza e di unità", ha detto il presidente del gruppo, Manfred Weber: "E' chiaro che Fidesz si era allontanato dai valori di Schumann, De Gasperi, Kohl e Adenauer". Paradossalmente è Weber, che aspira a prendere il posto di David Sassoli come presidente del Parlamento europeo nel gennaio 2022, a guadagnare di più dall'auto esclusione di Orbán. La sua Csu in passato aveva sempre protetto il premier ungherese. Weber aveva bisogno di ripulirsi l'immagine e ora può sperare di ottenere i voti di liberali e socialisti. Il Ppe ci guadagna in compattezza. La permanenza di Orbán aveva provocato una frattura sempre più larga tra l'ala conservatrice (Cdu-Csu e Forza Italia), compiacente con il premier ungherese, e quella liberale (le delegazioni dei paesi nordici e dell'est) che invece chiedeva l'espulsione. "Le dimissioni di Fidesz sono un gran sollievo e un giorno storico per il Ppe e l'Europa", ha detto il finlandese Petri Sarvamaa. "Ora il gruppo (del Ppe) si è finalmente tolto il peso del Fidesz". Tradotto, la linea del Ppe potrebbe diventare più liberale.

La domanda ora è se e quando Orbán sceglierà una nuova famiglia politica. A dicembre il primo ministro ungherese aveva proposto a Weber una collaborazione con un piede dentro e un altro fuori dal gruppo del Ppe, attraverso un'associazione come quella che avevano i Tories britannici prima che David Cameron decidesse di andarsene. Seppur sospeso e minacciato di espulsione, Fidesz è ancora membro del partito del Ppe. Una decisione per la cacciata potrebbe essere presa nei prossimi mesi.

Matteo Salvini ha fatto sapere di aver scritto a Orbán per esprimere solidarietà e vicinanza al popolo ungherese. “Orbán è il benvenuto tra noi!”, ha detto il leader di Alternativa per la Germania, Joerg Meuthen. Ma Orbán sa che allearsi con Afd, la Lega e il Rassemblement National di Marine Le Pen, nel gruppo di estrema destra Identità e democrazia sarebbe suicida. Sul Foglio Valerio Valentini spiega perché l'uscita di Orbán complica il cammino della Lega verso il Ppe. Probabilmente Orbán preferisce il gruppo dei Conservatori e riformatori europei, con il Partito Legge e Giustizia (PiS) polacco, Fratelli d'Italia e gli spagnoli di Vox. A Bruxelles comunque si scommette su un'ulteriore radicalizzazione di Orbán e altri scontri. Dopo la resa dei conti con il Ppe, ci sarà la resa dei conti finali con l'Ue? E la prospettiva dell'Unghexit farà cambiare idea ai cittadini ungheresi su Orbán?

Buongiorno! Sono David Carretta e questa è Europa Ore 7 di giovedì 4 marzo, realizzato con Paola Peduzzi e Micol Flammini, grazie a una partnership con il Parlamento europeo.

Il Patto di stabilità sospeso anche nel 2022 - La Commissione europea ieri ha presentato una serie di criteri per decidere se mantenere la clausola di salvaguardia generale che ha sospeso le regole su deficit e debito, facendo chiaramente capire che non intende riattivare il Patto di stabilità e crescita per il 2022. Di fronte alla crisi provocata dal Covid-19 “dobbiamo assicurarci che non si ripetano gli errori di un decennio fa ritirando troppo presto il sostegno” all'economia, ha spiegato il commissario all'Economia, Paolo Gentiloni: sugli stimoli “meglio sbagliare facendo troppo che troppo poco”. Anche Valdis Dombrovskis, che viene classificato come un falco sulla politica fiscale, ha riconosciuto che gli stimoli devono restare “finché è necessario”. In un editoriale il Foglio spiega che Gentiloni ha vinto la battaglia tra falchi e colombe, ma attenzione: il vero falco è la mancanza di fiducia dei mercati quando si accumulano troppi debiti.


Contro il tic dell'autolesionismo europeo - E' giovedì e sul Foglio c'è la rubrica “EuPorn - il lato sexy dell'Europa”, che è la sorella maggiore di questa newsletter. Oggi si fa un viaggio nell'autolesionismo europeo sui vaccini: anche gli insospettabili europeisti se la prendono con l'Ue. Ricordate i sospiri sugli aiuti russi un anno fa? Ci risiamo, questa volta sui vaccini. Paola Peduzzi e Micol Flammini forniscono le risposte al fuoco amico che fa male all'Ue e ribaltano la grancassa della sfiducia, che è il solito tic dell'autolesionismo europeo.


La Repubblica ceca riceve 100 mila dosi di vaccini in più dall'Ue - L'Unione europea ha deciso di inviare 100 mila dosi aggiuntive del vaccino Pfizer-BioNTech la prossima settimana alla Repubblica ceca per far fronte all'emergenza e contrarre l'offensiva diplomatica della Russia con Sputnik V. Con gli ospedali al collasso, il presidente ceco, Milos Zeman, si è detto favorevole al vaccino russo. Il premier Andrej Babis esita ed ha lasciato la decisione al ministero della Sanità, che è contrario senza l'approvazione dell'Ema. La Commissione ha deciso di intervenire con il meccanismo di solidarietà. “Questo accelererà le vaccinazioni e aiuterà a battere il virus. Il mio profondo ringraziamento alla Commissione, a Ursula von der Leyen e a tutti gli stati membri. Questo significa molto per noi”, ha scritto su Twitter Babis.

La Germania contro la Commissione sulle frontiere - Il governo di Angela Merkel ha risposto “nein” alla richiesta della Commissione di allentare i controlli alle frontiere con il Tirolo austriaco e la Repubblica ceca. “Al momento, nell'interesse della protezione della salute, dobbiamo mantenere le misure prese alle frontiere interne”, ha scritto l'ambasciatore tedesco presso l'Ue, Michael Clauss, in una lettera pubblicata da Politico.eu. A fine febbraio la Commissione aveva scritto una lettera a sette paesi per chiudere di rispettare le raccomandazioni dell'Ue sulle restrizioni alle frontiere. La Germania accusa i paesi vicini di adottare misure di controllo della pandemia “meno” efficaci di quelle tedesche. Questa settimana Berlino ha anche chiuso le frontiere con la Mosella francese.

Johansson davanti al Parlamento europeo su Frontex - La commissaria agli Affari interni, Ylva Johansson oggi comparirà davanti al gruppo di lavoro del Parlamento europeo incaricato di indagare su Frontex e i presunti respingimenti dell'agenzia per le frontiere esterne. Il direttore Fabrice Leggeri sarà presente alla riunione. Ma il suo futuro potrebbe giocarsi domani, quando si riunirà il consiglio di amministrazione di Frontex in un clima surriscaldato per le accuse che si stanno accumulando non solo sui respingimenti, ma anche per la gestione dell'agenzia da parte di Leggeri molto personale e poco attenta alle regole.

Nuova crisi Brexit: Johnson (ri)viola l'intesa sull'Irlanda - Il governo di Boris Johnson ha deciso di prolungare unilateralmente la fase transitoria prevista dall'accordo Brexit sui controlli alla frontiera tra il Regno Unito e l'Irlanda del Nord. Il periodo di grazia, che permette a supermercati e altri commercianti di non fornire certificati sanitarie per le consegne di prodotti animali, doveva scadere a fine marzo e sarà prolungato fino a fine ottobre. La mossa ha provocato dure reazioni da parte dell'Ue. Per il vicepresidente della Commissione, Maros Sefcovic, si tratta di una “violazione” del Protocollo sull'Irlanda e degli obblighi di buona fede previsti dall'accordo Brexit. La Commissione, sottolineando che è “la seconda volta” che il Regno Unito si prepara a violare il diritto internazionale, minaccia di “rispondere a questi sviluppi con tutti gli strumenti legali” previsti dall'accordo Brexit e da quello sulle relazioni future.

Il Consiglio benedice la Conferenza sul futuro dell'Ue - Nella riunione del Coreper di ieri, gli ambasciatori dei 27 hanno dato il via libera alla bozza di dichiarazione congiunta per istituire la Conferenza sul futuro dell'Europa. Oggi tocca alla Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo dare il suo accordo, che dovrebbe essere scontato. Il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, è soddisfatto che il testo di compromesso non escluda la possibilità di lanciarsi in una revisione del trattato al termine dei lavori della Conferenza sul futuro dell'Europa.

L'Ue (ri)condanna la repressione in Birmania - "L'Unione europea condanna la continua e violenta repressione dei manifestanti pacifici da parte delle forze armate e di sicurezza della Birmania, che oggi ha causato ulteriori morti di civili innocenti", ha detto ieri il portavoce del Servizio europeo di azione esterna diretto dall'Alto rappresentante, Josep Borrell. “I tentativi di mettere a tacere i media e sradicare la libertà di espressione non impediranno al mondo di essere testimone del coraggio del popolo birmano e delle azioni delle forze armate, né daranno alcuna legittimità al colpo di stato”, ha aggiunto il portavoce. Ma l'Ue è di fronte al dilemma di come rispondere. Borell e alcuni paesi temono che sanzioni troppo dure, come la fine delle preferenze commerciali di cui beneficia la Birmania, spingano i generali nelle braccia della Cina.

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