Fuori dalla famiglia

Chi tira sospiri di sollievo nel Ppe per la (prima) exit di Orbán 

David Carretta

L’ungherese Fidesz si autoespelle dal principale partito europeo. I nuovi equilibri e i prossimi corteggiamenti. La scommessa a Bruxelles

Viktor Orbán ieri ha deciso di lasciare il gruppo del Partito popolare europeo, evitando l’umiliazione di vedere Fidesz sospeso o espulso dalla più grande formazione del Parlamento europeo. Ma, lungi dall’essere una chiamata alle armi delle forze populiste e sovraniste, la mossa del primo ministro ungherese rischia di trasformarsi in un boomerang che gli farà perdere influenza e protezione nell’Ue. Orbán sarà più solo in Europa, più esposto a procedure di infrazione e, in prospettiva, alla possibilità di vedersi sospendere il diritto di voto in seno al Consiglio per le violazioni sistematiche allo stato di diritto. Il Ppe perde 12 deputati ungheresi, ma senza conseguenze negative sugli equilibri nel Parlamento europeo, dove rimane la prima forza davanti ai socialisti. Semmai la famiglia popolare si è liberata dal suo più grande peso, quello di un capo di stato e di governo che da anni sfida  l’Ue, le sue regole e i suoi valori fondamentali. Il voto di ieri all’interno del Ppe che ha provocato l’uscita di Orbán “è un segnale di forza e di unità”, ha detto il presidente del gruppo, Manfred Weber: “E’ chiaro che Fidesz si era allontanato dai valori di Schumann, De Gasperi, Kohl e Adenuaer”.

   

Tutto è cominciato con quella che potrebbe apparire come una questione procedurale, ma che in realtà era molto politica. Il gruppo del Ppe aveva deciso di modificare le regole interne per darsi la possibilità di sospendere o espellere una delegazione nazionale. Nel mirino c’era Fidesz, il cui capodelegazione, Tamás Deutsch, in novembre aveva accusato Weber di usare un linguaggio da Gestapo con l’Ungheria. Il gruppo voleva anche allineare le sue regole alla situazione del partito del Ppe, che da tempo ha sospeso Fidesz. Il 26 febbraio i vertici del gruppo avevano trovato un’intesa informale sul nuovo regolamento e sulla sospensione di Fidesz nel giro di un paio di settimane.

    

Domenica Orbán ha tentato di giocare di anticipo. “Se Fidesz non è benvenuto, non ci sentiamo obbligati a restare nel gruppo”, ha scritto il premier ungherese a Weber: “Se le modifiche saranno messe al voto e adottate, Fidesz se ne andrà”. Ma né la lettera né le telefonate di Orbán ai leader che in passato lo avevano difeso sono serviti. Il gruppo ha votato all’84,1 per cento per permettere la sospensione di Fidesz. Poco dopo è arrivata la seconda lettera di Orbán a Weber: le nuove regole “sono chiaramente una mossa ostile contro Fidesz e i nostri elettori (….). Di conseguenza gli organi dirigenti di Fidesz hanno deciso di lasciare immediatamente il gruppo del Ppe”. Nei rapporti di forza parlamentari, l’uscita dei 12 eurodeputati di Orbán non cambia granché. Il Ppe, nella seconda metà di legislatura, potrebbe perdere un presidente di commissione. Chi ci guadagna è Weber, che aspira a prendere il posto di David Sassoli come presidente del Parlamento europeo nel gennaio 2022. La sua Csu aveva  protetto Orbán. Il bavarese aveva bisogno di ripulirsi l’immagine e ora può sperare di ottenere i voti di liberali e socialisti. Il Ppe ci guadagna in compattezza. La permanenza di Orbán aveva provocato una frattura sempre più larga tra l’ala conservatrice (Cdu-Csu e Forza Italia) compiacente con il premier ungherese e quella liberale (le delegazioni dei paesi nordici e dell’est) che ne chiedeva l’espulsione. 

  

L’interrogativo ora è se e quando Orbán sceglierà una nuova famiglia. In passato aveva proposto una collaborazione esterna al gruppo popolare. Seppur sospeso, Fidesz è ancora membro del partito del Ppe. “Orbán è il benvenuto tra noi!”, ha detto il leader di Alternativa per la Germania, Joerg Meuthen. Ma Orbán sa che allearsi con l’AfD e la Lega nel gruppo  Identità e democrazia sarebbe suicida. Probabilmente preferisce il gruppo dei Conservatori e riformatori europei, con il Partito Legge e Giustizia (PiS) polacco, Fratelli d’Italia e gli spagnoli di Vox. A Bruxelles in ogni caso si scommette su un’ulteriore radicalizzazione di Orbán e altri scontri con l’Ue.

  

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