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Editoriali

La stabilità delle colombe

Redazione

Niente Patto fino al 2023, ma c’è un falco pericoloso: la sfiducia dei mercati

Paolo Gentiloni per il momento ha vinto la battaglia tra colombe e falchi con Valdis Dombrovskis sul Patto di stabilità e crescita. La Commissione europea ieri ha indicato di voler mantenere la clausola di salvaguardia generale, con cui ha sospeso le regole su debito e deficit, per tutto il 2022. Di fronte alla crisi economica provocata dal Covid-19 “dobbiamo assicurarci che non si ripetano gli errori di un decennio fa ritirando troppo presto il sostegno” all’economia, ha spiegato Gentiloni: sugli stimoli “meglio sbagliare facendo troppo che troppo poco”. La decisione formale sarà presa in maggio, dopo le previsioni economiche di primavera. Nonostante la montagna di debito che si sta accumulando negli stati membri, l’austerità non è tornata di moda.

 

La Commissione non intende riattivare il Patto fino a quando il pil non sarà tornato ai livelli del 2019, che sulla base delle attuali previsioni significa il 2023. Inoltre, ha previsto un’eccezione per chi fatica a tenere il passo del gruppo, come accaduto tradizionalmente all’Italia: ai paesi che nel 2022 non saranno tornati al pil pre Covid, verrà applicata tutta la flessibilità possibile. C’è però un’altra lezione della precedente crisi che rischia di essere dimenticata. Dopo il crac finanziario del 2008 il Patto venne di fatto sospeso per consentire ai governi di reagire con gli stimoli. Due anni dopo ci fu una brutale retromarcia perché gli investitori iniziarono a dubitare della capacità di alcuni paesi di ripagare il debito. Grazie alla Bce non siamo ancora a quel punto. Ma i recenti incrementi dei tassi nella zona euro, per quanto limitati, sono un segnale. “I paesi ad alto debito dovrebbero perseguire politiche fiscali prudenti”, ha ricordato Dombrovskis. Il falco più pericoloso non è lui, ma la sfiducia dei mercati.

 

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