Così l'uscita di Orbán complica il cammino della Lega verso il Ppe

Valerio Valentini

La tensione nel Carroccio. "Nessuno parli coi cronisti", ordina Zanni. Ma intanto Salvini dichiara solidarietà al leader ungherese. Le mosse di Weber che smentiscono gli auspici di Giorgetti per un ingresso tra i popolari. La nomina di Fontana a responsabile Esteri e la questione dei vaccini

Che il momento perla Lega fosse delicato, lo si era capito fin dal mattino. Quando, davanti all'annuncio dell'uscita di Fidesz dal Partito popolare europeo, Marco Zanni, capo delegazione del gruppo euroscettico Identità e democrazia di cui fa parte il Carroccio, aveva diramato alla truppa l'ordine categorico del silenzio. "Buongiorno a tutti - ha scritto nella chat del gruppo leghista - come avrete visto Orbán ha appena annunciato che lascerà il gruppo del Ppe. Come sempre l'indicazione è che dichiarazioni sul tema le rilascia Salvini ed eventualmente io o Campomenosi (il capogruppo del Carroccio all'Europarlamento, ndr). Se contattati da giornalisti invito tutti a non rilasciare dichiarazioni". 

 

Il che dà il senso della tensione, nel partito. Perché la rottura di Viktor Orbán col Ppe (il leader ungherese ha deciso di uscire per subire lo smacco di un'espulsione incombente) rimescola i destini del Carroccio. "Se Orbán esce, per noi sarà più facile essere accolti", ripeteva Giancarlo Giorgetti nelle scorse settimane, indicando nell'approdo tra i popolari l'obiettivo strategico fondamentale di una Lega che proprio per questa ragione doveva assolutamente entrare nel governo guidato da Mario Draghi: per accreditarsi come forza responsabile agli occhi delle cancellerie europee. "Anche perché - spiegava l'allora responsabile Esteri del partito, prima di diventare ministro dello Sviluppo - con l'uscita dei dodici esponenti di Fidesz il Ppe avrà interesse a rafforzarsi in vista del rinnovo delle cariche all'inizio dell'anno prossimo", che vengono assegnate col metodo proporzionale del D'Hondt (in sintesi: più pesi, più conti). 

 

E però, i modi e i tempi con cui la frattura è arrivata, paiono in realtà complicare i giochi. Innanzitutto perché l'uscita di Orbán arriva in seguito a una modifica del regolamento interno al Ppe che, tra le altre cose, rende più stringenti i requisiti d'ingresso per gli aspiranti nuovi membri. E in secondo luogo, perché le ragioni politiche alla base di questa svolta sembrano contraddire i ragionamenti degli strateghi del Carroccio. Perché è proprio in virtù dell'aspirazione di promuovere Manfred Weber a presidente del Parlamento europeo che il Ppe ha accelerato sulla sospensione di Fidesz. Per essere eletto, il leader tedesco ha bisogno dell'appoggio di socialisti e liberali: e per ottenerlo, cerca di allontanare da sé le ombre di vicinanze sconvenienti. Per questo Orbán non è più gradito. E per questa stessa ragione, salvo stravolgimenti improbabili, neppure Matteo Salvini potrà essere, nel breve periodo.

 

Tanto più che Salvini, come prima reazione agli eventi, ha pensato bene di rendere pubblico il suo scambio di carinerie col leader appena defenestrato. Gli ha ribadito "amicizia e vicinanza con il popolo ungherese", fanno sapere dal suo staff. E questo certo non aiuterà, nelle trattative col Ppe. E non è un caso che, stando alle prime reazioni raccolte dal Foglio all'interno della pattuglia della Cdu di Bruxelles, "la rottura con Orbán rende l'ingresso della Lega nel Ppe più complesso, e non più facile".

 

E del resto anche la scelta di Salvini di affidare a Lorenzo Fontana la guida di quel dipartimento degli Esteri lasciata sguarnita dopo la promozione di Giorgetti al Mise rischia di essere scivolosa. Perché il vicesegratrio è uno degli sherpa leghisti a Bruxelles, e le dinamiche del Parlamento europeo le conosce come pochi altri. Ma al tempo stesso, nella mente di tanti esponenti della Cdu, Fontana resta il tessitore principale dell'accordo tra Salvini e Marine Le Pen. E questo ricordo non aiuterà a colmare le distanze tra il Carroccio e i popolari. Né lo agevolerà l'incontro che oggi pomeriggio Salvini avrà con una delegazione del governo di San Marino, tra i primi in Occidente ad affidarsi allo Sputnik. "Bombardare ogni giorno contro la Von der Leyen su un tema così delicato come i vaccini, e aprire ad accordi con la Russia, non è un buon viatico per rafforzare i legami col Ppe", proseguono le nostre fonti tedesche. Le quali non sanno che, nel frattempo, Giorgetti annuncia dal Mise che domani incontrerà il commissario europeo all'Industria, Thierry Breton, per ribadire la volontà dell'esecutivo italiano di partecipare allo sforzo produttivo europeo in campo vaccinale. Ma del resto a Bruxelles la distinzione tra la Lega di lotta e quella di governo non la capiscono. O, per meglio dire, non la concepiscono affatto. 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.