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Europeo, mezzo Mondiale

Beppe Di Corrado
E’ cominciato un torneo carico di attese: Nazionali nuove e stadi nuovissimi, campioni veri e altri da capire (vero azzurri?). E poi lo spettro del terrorismo. Una guida all'Europeo francese.

E’ un mini Mondiale, questo Euro 2016. Per molte e diverse ragioni: il numero allargato delle squadre, la differenza di livello delle partecipanti, la lunghezza del torneo. Poi i campioni, sì. Poi il fatto che manchi solo una grande squadra: l’Olanda. Poi c’è l’attesa che non è così, di solito. Perché l’Europeo è sempre stato un torneo di secondo livello, nonostante fosse più duro. Facile equazione al contrario: c’erano meno squadre, quindi squadre più forti, era più facile essere eliminati prima. E non c’erano Nazionali folkloristiche tipiche della Coppa del mondo. Adesso c’è tutto. E c’è anche lo spettro del terrorismo. Qui la paura, quindi la tensione, quindi l’idea che non sia solo calcio. Anche se in realtà non è mai solo calcio. Solo che stavolta si vive di più, si sente di più, si tocca di più.  C’è tanto a Euro 2016. A cominciare dalla curiosità di una Nazionale italiana che mai negli ultimi vent’anni ha avuto attorno a sé tanto scetticismo.  Ci sono Nazionali nuove e stadi nuovissimi. Ci sono curiosità, campioni veri, presunti e potenziali. E c’è tutto il resto, quindi ciò che non è calcio, ma si mescola col calcio.

 

 

Vivo Azzurro, forse

 

L’Italia quindi. E’ cominciato un Europeo in cui la Nazionale è stata presentata come una dimezzata. Di più: povera. Di talento, di classe, di forza. Quindi anche di aspettative. Il grande punto interrogativo sono gli attaccanti: Pellé, Eder, Immobile, El Shaarawy, Insigne, Bernardeschi. Non sarebbero all’altezza. Nessuno, pare. E i numeri raccontano qualcosa che effettivamente si avvicina a quel giudizio: il migliore è Eder, con 13 gol, 12 dei quali fatti nella prima parte della stagione e uno solo negli ultimi cinque mesi. E’ lo specchio di un fenomeno che quest’anno ha avuto il suo apice: quella della fine, o quasi, dell’attaccante italiano. Nei primi dieci della classifica marcatori della Serie A gli italiani sono tre: Pavoletti (14 gol), Maccarone (13), Belotti (12) più Eder (13). E parlando sempre dei primi dieci attaccanti per gol, gli stranieri ne hanno segnati nel complesso 116 mentre gli italiani 52. La crisi si riflette nella difficoltà di Conte di avere una coppia certa di punte per Euro 2016. Nella storia recente del nostro calcio non c’era mai stato un periodo così negativo. Abbiamo sempre avuto un ricambio generazionale degli attaccanti che permetteva di non perdere la media gol. Quest’anno no. La prova se volete sta anche questa in due numeri semplici: è stato l’ultimo anno di Di Natale e Toni, il primo lascia con 209 gol in Serie A, il secondo con 157. Nelle loro due stagioni prima di quest’ultima (hanno entrambi 38 anni e quest’anno le loro squadre o sono retrocesse o si sono salvate all’ultima giornata) hanno sempre segnato più di quanto abbiano fatto i migliori attaccanti italiani di questo campionato.

 

Poi c’è il tema centrocampo: Marchisio e Verratti infortunati e indisponibili. E’ vero, partiamo con due titolari in meno e soprattutto con due calciatori di livello internazionale in meno. E però contrariamente a quanto molti critici sostengono, è un reparto dove abbiamo ancora armi. Perché c’è Florenzi, che è uno dei migliori calciatori del campionato e uno dei migliori italiani in assoluto, anche sul piano internazionale. Poi abbiamo recuperato De Rossi. Una certezza, anzi di più: l’esperienza, la forza, l’intelligenza. Tutto quello che serve in un torneo così. Abbiamo un caso Thiago Motta, cominciato con la questione molto pelosa del numero. Gli hanno dato il 10 ed è stato vissuto come un sacrilegio. I giornali contro, i social network contro, tutti contro. Come se l’Italia avesse poi questa grande tradizione del numero 10. Dimentichiamo in fretta che fino a Baggio ai Mondiali di Usa ’94, il 10 l’avevano avuto tutti o quasi: Dossena, Benetti, Bagni, Berti. E questo accadeva mentre gli altri avevano Platini, Matthäus, Gullit.

 

Il 10 è un falso problema. E basta guardare gli altri: la Germania l’ha dato a Podolski, un panchinaro. La Francia a Gignac, un panchinaro. E’ vero che non è la nostra miglior èra calcistica, ma se togliamo autolesionismo e tendenza alla depressione a prescindere, le qualificazioni hanno raccontato che questa squadra ha fatto meno punti soltanto di Belgio, Austria, Inghilterra e Spagna. Quindi più della Germania campione del mondo. O del Portogallo. Abbiamo messo sotto la Croazia che molti bookmaker e molti analisti vedono tra le prime quattro d’Europa, dando a noi invece poche speranze persino di superare il primo turno.

 

E’ una Nazionale meno forte sulla carta di altre. Ma è vero che è tutto il calcio che è diverso. Gli altri forse hanno più classe, più talento, più colpi. Noi abbiamo una  difesa tra le migliori del mondo, il che in un torneo così è spesso un vantaggio maggiore di avere un grande attacco. Abbiamo Buffon, il miglior portiere del mondo (con il tedesco Neuer). E abbiamo un allenatore di lusso. Uno per cui i 23 convocati si butterebbero nel fuoco. Lascerà la Nazionale, d’accordo. Ma chissenefrega. La porti più avanti possibile e nessuno se ne accorgerà: chi si pone il problema di Conte al Chelsea cerca diversivi o non vuole capire che è semplicemente cambiato tutto.

 

 

Parigi tra sicurezza e caos

 

E’ l’evento sportivo più a rischio di sempre. O quantomeno è così che lo percepiamo. Dopo gli attentati del 13 novembre con il coinvolgimento dello Stade de France di Saint-Denis non c’è stato un solo giorno che non si sia parlato della possibilità concreta che durante Euro 2016 il terrorismo islamico colpisca il torneo o qualcosa che al torneo è collegato. I media internazionali l’hanno chiamata la “sindrome di Monaco ’72”, il che fa molta scena, ma è leggermente fuorviante. Perché a Monaco 1972 la Germania era del tutto impreparata a un evento simile e perché, per quanto i gruppi palestinesi fossero già molto attivi e pericolosi, lo sport non era mai stato preso a pretesto per un attacco così eclatante. Poi ci sono ragioni oggettive: i livelli di sicurezza erano imparagonabili a quelli di oggi. Anzi, a dirla tutta erano imbarazzanti. Oggi, anche senza una minaccia concreta, l’organizzazione di un Europeo tiene conto del rischio terrorismo. Ma qui, adesso, siamo oltre. Oltre il massimo mai registrato prima. Neanche i Mondiali del 2002 post 11 settembre erano così militarizzati. Anche perché lo Stato islamico o qualcuno che a esso si sente solidale minaccia continuamente la serenità della manifestazione.

 

Ed è così che parte Euro 2016. In una Francia che chi ci vive e chi ci è arrivato in questi giorni definisce surreale. Ci sono in giro 100.000 donne e uomini in divisa a controllare, perquisire, palpare, scrutare. "Siamo pronti a ogni evenienza", ha detto in questi giorni Martin Kallen, amministratore delegato Uefa. La domanda era su attentati o disastri, lui ha parlato di eventuali partite a porte chiuse o incontri rinviati al giorno dopo. Tutte cose considerate possibili già mesi fa. “Siamo pronti a giocare a mezzogiorno del giorno seguente. Non siamo a conoscenza di minacce concrete, precise su Euro 2016”. Ma le raccomandazioni ai cittadini americani e di altri paesi a evitare la Francia in questo mese? “Sono messaggi di precauzione, se i servizi di quei paesi avessero informazioni le avrebbero comunicate ai francesi”. L’organizzazione prevede due controlli in corrispondenza di due perimetri attorno agli stadi, il primo una vera perquisizione con palpazione, il secondo un controllo del biglietto. Più o meno quello che accade nella maggior parte degli stadi già ora. La cosa inquietante è che il piano è stato provato allo Stade de France – con esiti fallimentari – nella finale di Coppa di Francia meno di un mese fa: quella sera, a PSG-Marsiglia, ore di fila per accedere, poi sugli spalti entrò di tutto, botti, fumogeni, striscioni offensivi. "Ma quella sera non c’erano le segnalazioni per i tifosi e soprattutto non erano ancora operativi i 10.000 agenti privati che abbiamo ingaggiato per gli Europei", dicono adesso. Sarà, ma è poco per tranquillizzare. I portici con metal detector non sono previsti, salvo eccezioni. Inghilterra-Russia di questa sera a Marsiglia è già considerata a rischio dalla polizia, non per terrorismo, o non solo, ma per gli hooligan inglesi e marsigliesi e russi, che in passato si sono già affrontati. Certo è che neanche uno sceneggiatore di quelli bravi bravi sarebbe stato in grado di organizzare Inghilterra-Russia a Marsiglia. Qui ci ha pensato il caso e forse un po’ di disattenzione.

 

Comunque la Francia è un paese blindato e impaurito. E non solo. Perché è un paese a piedi e ricoperto di immondizia. Nulla ha fermato il sindacato che ha riempito di scioperi la vigilia dell’Europeo, anche se alcuni scivoloni, gaffe, di politici e rappresentanti di categoria hanno lasciato capire che la situazione è sfuggita di mano. Al punto che Les Echos, compassato quotidiano economico vicino agli industriali, ha ironizzato con un titolo provocatorio sulla sua edizione on line: “E se la Nazionale facesse sciopero?”. E ha proseguito: “Dopotutto mancano solo loro: mentre i piloti di Air France cominciano domani il loro sciopero, l’immondizia si ammassa a Parigi a poche ore dal match di apertura dell’Euro, e le metropolitane che portano allo stadio rischiano di essere bloccate, perché non riproporre il numero di Knysna, ai Mondiali del 2010, quando i giocatori si rifiutarono di scendere dal pullman? In questa Francia in cui i blocchi rasentano l’assurdo, un ulteriore tocco di ridicolo non stupirebbe nessuno”. Il quadro comunque è quello descritto: i rifiuti hanno continuato ad accumularsi nelle strade della capitale, con gli addetti alla nettezza urbana in sciopero contro la versione francese del jobs act. A nulla, o a pochissimo, è servito il ricorso in extremis a ditte private in sostituzione del servizio pubblico. Il traffico ferroviario è stato irregolare a causa di uno sciopero arrivato al nono giorno consecutivo, scioperano i piloti di Air France, che hanno rotto per l’ennesima volta le trattative con la direzione. La quale promette di non andare oltre il 30 per cento di voli annullati. Come se l’Euro non esistesse, il clima si surriscalda per la giornata di mobilitazione nazionale e sciopero generale di martedì prossimo, alla quale i sindacati hanno aggiunto quella del 24, giorno del voto in Senato, e del 28. Un percorso di guerra, insomma, per i 2,5 milioni di tifosi che arriveranno per assistere alle partite, addirittura i 7-8 che saranno comunque in Francia in questo mese. Il sindacato Cgt non ha mai mostrato segni di flessione, a parte un’originale sortita del suo leader, Philippe Martinez, che ha affermato che sarebbe “un peccato che l’Euro non fosse una grande festa popolare, negli stadi e nelle fan zone. Ma – ha subito aggiunto – sono i lavoratori che decidono se smettere o continuare nel movimento nello sciopero”.

 

 

Lo stadio più bello del mondo

 

Dieci città, oppure nove. Dipende se si considera Saint-Denis oppure la si intende – come molti fanno – come una dependance di Parigi. Ma siccome fa comune a sé, le città che ospitano gli Europei sono dieci: Bordeaux, Lens, Lilla, Lione, Marsiglia, Nizza, Parigi, Saint-Denis, Saint-Etienne e Tolosa. A differenza dell’ultima edizione del torneo, quella organizzata da Ucraina e Polonia in cui gli stadi non erano ancora tutti completati il giorno dell’inaugurazione del torneo, i dieci impianti francesi che ospiteranno le partite sono tutti pronti da febbraio: cinque stadi sono stati ristrutturati mentre altri quattro sono stati costruiti da zero. E tra questi c’è un capolavoro dell’architettura contemporanea: E’ il “Nouveau Stade de Bordeaux”, oggi chiamato Matmut Atlantique des Girondins de Bordeau, un impianto da poco più di 42.000 posti a sedere, che continuerà a ospitare le partite casalinghe dell’Fc Girondins Bordeaux e ospiterà cinque match di Euro 2016, tra cui un quarto di finale. Progettato dagli architetti svizzeri Herzog & de Meuron – già autori dell’Allianz Arena di Monaco di Baviera e dello Stadio Olimpico di Pechino – è uno stadio stupendo, che dal basso non sembra neanche uno stadio. E’ stato giudicato lo “stadio di calcio più bello del mondo inaugurato nel 2015”, il che può sembrare un riconoscimento da poco, ma non lo è: come ha ricordato il sito calcio&finanza.it “al concorso organizzato dal sito StadiumDB.com, hanno partecipato 22 impianti. La votazione a cui hanno preso parte due diverse giurie si è svolta tra il 18 gennaio e il 19 febbraio 2016, è stata effettuata da due giurie diverse. La prima era composta dal pubblico, che attraverso una votazione sul sito ha espresso la propria preferenza. Mentre la seconda giuria era costituita da esperti del settore”. E’ uno dei pochissimi stadi europei senza alcuna barriera di protezione.

 

La visibilità è ottimale da tutte le posizioni, grazie alla vicinanza con il campo di gioco: le prime file di posti a sedere dove si possono accomodare gli spettatori sono infatti situate a soli 10 metri dal campo. Il progetto, come hanno raccontato gli architetti, si basa su una pioggia di esili colonne, la forma a ciotola delle tribune e del campo da gioco. E’ lungo 233 metri, largo 210 metri e alto 37 metri, l’edificio appare leggero, puro e quasi astratto e si differenzia da altri impianti sportivi per la leggerezza della sua struttura dominata dal segno distintivo delle circa 900 esili colonne in acciaio bianco che sorreggono la copertura. L’impianto cerca un’integrazione con l’ambiente circostante e riflette il paesaggio costellato di alberi e percorsi attraverso la sua forma geometrica e la foresta di colonne. Lo stadio rafforza infatti sia l’alta qualità ambientale del paesaggio a nord che la periferia urbana a sud. Si apre nelle immediate vicinanze del velodromo di Bordeaux e del lago Le Lac e si estende su una superficie complessiva di 18,7 ettari, di cui 4,6 ettari rappresentano la superficie dello stadio. Seguendo l’orientamento nord-sud, le facciate principali mantengono la propria identità e offrono una varietà di punti di vista verso la piazza che circonda lo stadio e verso il parco.

 

 

Tra Ronaldo e Lewandowski

 

Non c’è dubbio, neanche uno che Cristiano Ronaldo sia il calciatore più importante di questo europeo. Perché ci arriva dopo aver vinto una Champions e perché è stabilmente il calciatore europeo più forte che c’è da dieci anni. Può vincere da solo? E’ la domanda più stupida e contemporaneamente più intelligente possibile. La risposta è ugualmente stupida e intelligente: boh. Lui è spavaldo, come sempre. “Il futuro ci sorride e il Portogallo farà grandi cose, come vincere un Europeo o un Mondiale”. CR7 riconosce che la sconfitta contro la Grecia nella finale di Euro 2004, disputata proprio in Portogallo, fu particolarmente dolorosa. “Sapevamo di avere un’opportunità unica per essere campioni d’Europa, fu dura perdere quella partita. Però fa parte del calcio, non c’è nulla di garantito”.

 

In Francia c’è arrivato dicendo una cosa così: “credo che con i risultati che sto avendo possa pensare di essere il migliore degli ultimi vent’anni. Credo che i migliori influenzino sempre il proprio sport, quindi credo di aver avuto un certo impatto. Non posso ancora dire in che misura, questo potrà dirlo soltanto il tempo”.

 

Eppure c’è un calciatore che oggi è più affascinante di lui. Ed è Robert Lewandowski. Per molti la Polonia potrebbe essere la squadra più interessante dell’Europeo. Se è così è soltanto per lui. Uno così determinante in termini statistici è difficile da trovare. Adesso e nella storia. Nella Nazionale polacca ha segnato 34 gol in 75 partite, quasi uno ogni due. E 13 sono stati quelli nella fase di qualificazione a Euro 2016. Una media impressionante per un calciatore impressionante. Anche con il Bayern nell’ultima stagione ha fatto 42 gol. Per tutta l’estate sarà uno di quelli di cui si parlerà per il mercato. C’è il Real, c’è forse il Barcellona, c’è anche il City, se è vero che Guardiola lo considera uno dei calciatori più intelligenti mai visti: “Uno che si allena come pochi, che si comporta come pochi, che conosce tutto di sé e degli avversari. Sa che se entra in un certo modo si fa male e quindi non lo fa. Un calciatore così è fondamentale”. La stima è ricambiata: “Guardiola ha fatto di me un calciatore migliore. Sono migliorato in tutto con lui”. L’Europeo, dopo la pessima esperienza del 2012 è un test, il primo o l’ultimo a seconda dei punti di vista.

 

 

Tra la Serie A e gli altri

 

Pogba, Hamsik, Nainggolan, Perisic. Più gli altri. Molti. C’è un gran pezzo di Serie A in questi Europei. Se si parte dagli allenatori oltre a Conte, ci sono ex frequentatori del nostro campionato: Petkovic, Hodgson e Terim, ct di Svizzera, Inghilterra e Turchia con un passato onesto ma non esaltante con Lazio, Inter, Fiorentina e Milan. La pattuglia degli altri italiani non è distribuita armonicamente fra le 24 squadre partecipanti al primo europeo extralarge. Però c’è. Ed è folta. Croazia, Polonia e Albania, hanno rispettivamente sette, sei e cinque elementi che hanno giocato l’ultima stagione in Italia. Non ci sono giocatori della Serie A nella Nazionale inglese, in quella spagnola c’è solo Morata, in quella tedesca ci sono Khedira e Rudiger (che però s’è appena infortunato). Dei 38 giocatori che militano in Italia 23 fanno parte delle prime cinque squadre dell’ultimo campionato ricalcando curiosamente l’ordine della classifica: 6 la Juve, 5 il Napoli e la Roma, 4 la Fiorentina e 3 l’Inter. Quattro hanno giocato in serie B: Magnusson (Cesena), Salamon (Cagliari, promosso in A), Memushay (Pescara, alla finale playoff), Basha (Como, retrocesso in Lega Pro). E’ quindi un gruppo eterogeneo che comprende tre dei pezzi forti del mercato internazionale come Pogba, Morata e Nainggolan, ma un’altra quindicina saranno protagonisti di primo piano delle prossime trattative. Potrebbero formare una squadra molto competitiva: Szczesny, Evra, Rudiger, Glik, Lichtsteiner, Brozovic, Nainggolan, Pogba, Hamsik, Morata, Mandzukic. Volendo prendere in considerazione anche i partecipanti agli europei che hanno fatto un’esperienza in Italia il gruppo si allarga di una quindicina di unità: fra questi spiccano campioni come Ibrahimovic, vecchie volpi come Podolski, Quaresma o Gillet, giocatori in cerca di riscatto come Shaqiri, giovani con quotazioni alle stelle come Coman e Kovacic. Secondo una statistica pubblicata dalla Bbc, è la Premier League inglese quella che fornisce il maggior numero di giocatori alle varie Nazionali: 103 su 552 totali, e cioè circa il 20 per cento. Al secondo posto la Bundesliga con 57, mentre un campionato come la Liga spagnola contribuisce con meno della Serie A: 34 calciatori, nonostante Real Madrid e Siviglia abbiano portato a casa, rispettivamente, Champions League ed Europa League.

 

 

Pogba e il calciatore multiruolo

 

Paul Pogba. Lui e il suo valore. Lui e il mercato. E’ l’uomo di questo Europeo in una maniera diversa da Ronaldo. Perché Cr7 è la continuità dell’Europa, Pogba è il simbolo dei Millenial europei. Poi la Francia, perché giocare in casa ti trasforma sempre in qualcosa di diverso. Nell’ultima dichiarazione prima dell’inizio di Euro 2016 ha detto anche lui una cosa leggera: “Diventerà leggenda”. A dimostrazione che, come nel caso di Cristiano, parliamo dell’ego oltre che del talento. E’ tutto giustificato dalla sua forza. Pogba è probabilmente più iconico di Cr7 perché è davvero un calciatore contemporaneo. Per corporatura e per tipo di gioco. E poi per una questione più globale: è il simbolo dei multiruolo. Cioè: nella Francia gioca in una zona diversa rispetto a quella in cui gioca nella Juventus. E questo è il filo conduttore dell’evoluzione del calcio europeo. Daniele Manusia ha scritto recentemente su IL una cosa interessante: “L’evoluzione tattica degli ultimi anni ha prodotto un tipo di giocatore adatto a un contesto fluido, in cui le squadre adottano moduli diversi a seconda delle fasi di gioco e un’identità troppo rigida rende prevedibili anche i migliori al mondo. Il prossimo Europeo sarà una vetrina di calciatori di questo tipo che per comodità, per non fare giri di parole, possiamo definire da subito calciatori ‘polifunzionali’, più preciso del suo sinonimo ‘universali’. Il giocatore moderno ideale è quello che sa ricoprire più ruoli all’interno della stessa partita e della stessa azione, scomparendo come centrale di centrocampo e riapparendo come trequartista, per poi trasformarsi in esterno difensivo per coprire il buco di un compagno. Un calciatore, cioè, con l’intelligenza tattica per leggere di volta in volta le diverse situazioni e mutare forma come il cyborg fatto di metallo liquido di ‘Terminator 2’”. La descrizione è perfetta per Pogba che diventa un emblema del fenomeno in campo e a parole: “Il mio ruolo? Non importa. Importa solo giocare per questa Francia. Mi ammazzerei per la Nazionale. E poi il ruolo non conta, perché in una partita si può cambiare molte volte. Il centrocampista moderno deve sapere fare tutto: difendere, attaccare, segnare, fornire assist, recuperare palloni, essere un leader in campo”, continua. Alla Zidane? “Anche alla Ronaldo, alla Ronaldinho, alla Messi, alla Iniesta. Vorrei prendere qualcosa da tutti e arrivare a un livello dove poter avere tutto, essere nello stesso tempo Vieira, Deschamps, Zidane, Ronaldinho, Henry, Ronaldo. Non penso di essere un grande, penso di non aver fatto ancora nulla nel calcio. Ho vinto dei campionati ma non ho vinto la Champions, la Coppa del mondo, gli Europei. E vincere Euro 2016 in Francia non sarebbe male. Voglio diventare un grande e vincere tutto, voglio che fra trent’anni la gente guardi i miei video su Youtube come fa oggi con Maradona e Pelé”.

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