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La corsa europea per dare casa ai nomadi digitali

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Dall’Estonia a Malta passando per Romania e Portogallo, ecco la mappa dei visti speciali per accogliere i lavoratori usciti trasformati dalla pandemia  

Questo oggi è il mio ufficio” è la frase con cui i nomadi digitali si sono fatti conoscere e invidiare nel mondo, allegando immagini irresistibili di computer portatili affacciati su panorami stupendi e molto diversi dalla vista che solitamente abbiamo dalle finestre dei nostri uffici. I nomadi digitali sono uno dei pochi effetti positivi della pandemia, le persone che lavorano da remoto e che scelgono il posto in cui vivere a seconda delle condizioni offerte dalla città, dai clienti, dai datori di lavoro.

 

In Europa, dove il mercato del lavoro è quanto di più rigido si possa immaginare e dove ci dimentichiamo spesso quanto sia preziosa la libera circolazione di cose e persone, è iniziata una corsa sorprendente e virtuosa tra i paesi membri per diventare la casa di questi nomadi operosi: visti speciali sono stati introdotti in Francia, Spagna, Grecia, Croazia, Malta, Portogallo, Germania, Estonia, Repubblica ceca e Romania.

 

I requisiti richiesti per dare il visto da nomade variano di paese in paese, ma l’obiettivo è uguale per tutti: attirare nuovi lavoratori, giovani e digitalizzati, trasformare il lavoro da remoto non in un costo da pandemia ma in un valore aggiunto. Ci siamo buttate, con computer e foto mozzafiato a portata di mano, in questa competizione, per capire come si conquista un nomade digitale. 

 

Un nomade digitale non è uno che vaga per il mondo con un computer e nessun piano, al contrario è un lavoratore  molto organizzato


Chi è un nomade digitale. In questi giorni è in corso “la settimana dei nomadi digitali”, con interventi da tutto il mondo, una buona dose di influencer (perché il passo da nomade a influencer finora è stato molto corto) e studiosi che stanno cercando di convincere i governi ad attuare politiche di accoglienza per questi lavoratori autonomi generalmente più istruiti della media e molto flessibili. Le aziende si sono già mosse: Airbnb, per esempio, ha continuato a offrire affitti di lungo periodo anche dopo che è finita la stagione dei “ritiri per rispettare il distanziamento sociale”. Airbnb è convinta che molte persone non soltanto continueranno a lavorare da remoto, ma che non si accontenteranno di stare a casa, vorranno approfittare dei cottage sul mare, degli chalet in montagna, delle periferie che costano meno e sono tutte da esplorare (il termine per indicare la fusione di lavoro e vacanza è “workation”, ed è spaventoso fin dal suono). Ma com’è la vita di un nomade digitale? Alcuni giornali hanno pubblicato delle guide per il buon nomadismo digitale, che comprendono: scegli il posto in cui sei accolto meglio, cioè ci sono visti speciali, e che ti puoi economicamente permettere; abituati a lavorare nel chiasso o in condizioni non sempre ottimali, ché il nomade deve avere una grande capacità di adattamento, altrimenti non gli resta che tornare nel suo cubicolo; devi avere l’accesso a internet sempre garantito, è l’unico vero investimento strutturale che devi fare, altrimenti saresti semplicemente un nomade. Soprattutto, non confondetevi: un nomade digitale non è uno che vaga per il mondo con pochi soldi, uno zaino, un computer e nessun piano, al contrario è molto organizzato, studia i dettagli, fa paragoni e fa moltissimo passaparola – i governi in corsa per conquistarlo sono avvisati. 

 

La pioniera. L’Estonia, che è forse il paese europeo digitalmente più avanzato, ha introdotto nel 2014 l’e-Residency, un documento richiedibile online che permette a qualsiasi cittadino europeo di operare (lavorare, studiare, meditare, quel che vi va) in Estonia in pochi giorni d’attesa. Con l’arrivo della pandemia, questo stato abitato da 1,3 milioni di persone che va fiero di avere il più alto rapporto tra abitanti e unicorni ha introdotto molto velocemente i visti per i nomadi digitali, mettendo a disposizione la propria fama da “Silicon Valley” europea. Il visto dura un anno, per fare domanda servono dagli 80 ai 100 euro e per ottenerlo è necessario dimostrare di avere un reddito lordo mensile di almeno 3.500 euro. Oltre la predisposizione naturale dell’Estonia a farsi casa dei nomadi digitali, un gran contributo è arrivato anche dalla Brexit. A ben vedere si tratta di una restituzione: nel 2004, quando l’Estonia entrò nell’Unione europea, molti estoni ne approfittarono per trasferirsi soprattutto nel Regno Unito. Ora avviene il contrario: una imprenditrice scozzese dice di aver iniziato già dall’anno scorso il suo “shopping for countries”, facendo analisi comparate su tassazione, regolamenti, accessibilità, sostegno del sistema. L’Estonia è balzata ai primi posti anche perché oggi offre la possibilità di dare l’accesso al mercato europeo che il Regno Unito si è volontariamente negato.

 

Il più sfrontato. Se di recente vi è capitato di sentir parlare di nomadi digitali con maggiore insistenza è per via del Portogallo. E’ stata introdotta una legge in cui il lavoro da remoto viene protetto più che altrove – è stata soprannominata la legge del “diritto a riposare” (che, ammetterete, suona molto meglio di “workation”). I datori di lavoro non possono contattare i propri dipendenti fuori dall’orario di lavoro a meno che non sia strettamente necessario, altrimenti rischiano di essere multati. Poiché i prezzi dell’energia sono alti ovunque, le aziende si devono impegnare a contribuire a pagare le bollette dei propri dipendenti che lavorano da casa. E superando con un balzo tutti i dibattiti sui congedi parentali, la legge portoghese stabilisce che per i genitori di figli sotto gli otto anni non ci sono vincoli di orario e di presenza: possono lavorare dove vogliono. Il governo socialista ha spiegato che questa normativa è stata studiata proprio per attirare i nomadi digitali, anche se a leggerla sembra più interessante per chi ha il posto fisso e deve tornare a lavorare in presenza. Per accedere al visto per i nomadi basta dimostrare di guadagnare 665 euro all’anno e si deve anche fornire un indirizzo in cui si abita: il luogo più gettonato è la meraviglia portoghese dell’arcipelago di Madeira, dove internet va benissimo, ci sono più co-working che supermercati e una grande accoglienza. 

 

A proposito di meraviglie. Ci sono posti che fanno più gola di altri e non sempre c’entrano le agevolazioni fiscali o gli inviti dei governi. Grecia, Malta, Spagna e Croazia hanno un’attrattiva in più degli altri: il mare. Un anno fa, la prima estate pandemica, era tutto un postare foto di computer con sfondi marittimi incredibili, un connubio tra bellezza, mobilità e lavoro che sembrava una rivoluzione. Molte di queste foto venivano dalla  Grecia che  si è reinventata in fretta e ha offerto dei visti che sono rinnovabili fino a tre anni. Dell’arrivo sempre crescente di nomadi digitali Atene ne ha fatto un punto di orgoglio: il segno inequivocabile dell’avanzamento tecnologico del paese. L’idea era già venuta prima della pandemia e infatti la Grecia  aveva un suo programma per attirare nomadi digitali basato sulla riduzione dell’imposta sul reddito del 50 per cento per un certo periodo. Malta, invece, dalla sua parte ha anche la lingua inglese, i lavoratori arrivano nell’isola e non devono sforzarsi a imparare una lingua come il greco. Il visto però dura un anno e se in Grecia farne richiesta costa 75 euro, a Malta costa 300, ma include anche le famiglie. La Spagna si sta dando molto da fare e al visto ci sta lavorando su, ma è già nata un’iniziativa parallela per riempire quella Spagna rimasta vuota che non ha affacci sul mare. Circa trenta città hanno costituito una rete nazionale di accoglienza per lavoratori a distanza. Sono tutti paesini con meno di 5.000 persone che cercano abitanti. Infine c’è la Croazia, dove a ottobre è stato aperto il primo villaggio per nomadi digitali. E’ a Zara e la zona è conosciuta come “The Valley”. Tecnicamente quello croato non è un visto, ma un permesso di soggiorno di un anno, rinnovabile dopo sei mesi. 

 

Le città si ridisegnano per offrire condizioni vantaggiose e le aziende si ripensano. C’è un gran passaparola tra i nomadi 

 

L’accoglienza fatta a sistema. La Germania ha introdotto una nuova legge sull’immigrazione che prevede visti di lavoro accelerati per i lavoratori qualificati e sei mesi per cercare un’occupazione. Le autorità tedesche non chiedono un reddito di base per il visto, ma le documentazioni  dicono soltanto: dovete dare prova di saper gestire i vostri fondi, cioè che siete bravi a fare i calcoli. In Germania il costo della vita è abbastanza elevato, a Berlino, che è la meta preferita dei nomadi (anche se va molto forte Colonia, che si vende come la versione più   a misura d’uomo della capitale), lo è ancora di più, quindi conviene capire con una certa precisione cosa cercare e con che aspettative. Dicono molti che questo approccio “responsabile” è anche la ragione per cui la Germania è riuscita ad assorbire e integrare una grande parte degli immigrati che furono accolti nel 2015 dal “Wir schaffen das” di Angela Merkel, la ex cancelliera che alle elezioni del 2013, visionaria, scelse tra i suoi messaggi: voglio formare una cultura d’accoglienza per le menti brillanti.

 

La signora dei nomadi. La Romania è un paese che deve faticare un po’ più degli altri per attrarre nomadi digitali, è meno conosciuto, non vanta le coste greche o croate, ma si sta impegnando tantissimo. La madrina del programma di visti si chiama Diana Buzoianu, è una deputata di ventisette anni del partito romeno che al Parlamento europeo siede tra i liberali di Renew Europe. Buzoianu ha raccontato che la legge è uno strumento figlio del XXI secolo e che ha iniziato a lavorarci perché per il suo paese è vitale attrarre lavoratori e capitali. Ma il programma è ancora molto giovane e tra tutte le offerte è il più riduttivo, dura solo novanta giorni. Però in Romania le città si sono attivate per scovare i migliori spazi di co-working e il primato non è stato vinto da Bucarest, bensì da Timisoara, città piena di cultura e fascino soprannominata “la piccola Vienna”. Tra i visti più complessi da ottenere invece la sfida la vince la Repubblica ceca, che ha un suo programma per i nomadi digitali dal 2019, ma la selezione è rigorosa. 

 

Il vuoto lo avete sentito anche voi, l’Italia non compare in questa competizione, e sì che avrebbe parecchio da offrire, e da guadagnare. A dirla tutta l’Unione europea ha un bel da fare a combattere la concorrenza di paesi da tutto il mondo. Una delle mete più irresistibili è Dubai, che si è messa in testa che questa corsa per prendersi giovani lavoratori, talentuosi e nomadi vuole vincerla. La nostra preferenza però non va ai grattacieli emiratini, anche se la recente decisione di allungare il fine settimana qualche pensierino ce l’ha fatto fare. Abbiamo visto in questi giorni i robottini che fanno le consegne in Estonia impantanati nella neve: uno di loro ha chiesto aiuto a un passante che lo ha liberato e si sono salutati entrambi felici. Ci siamo innamorate di questi robottini piccoli e gentili, alcuni con un naso rosso come le renne di Babbo Natale, e abbiamo pensato che, nell’imbarazzo della scelta delle case migliori per i nomadi digitali, questa volta noi puntiamo a nord.