EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Faccia a faccia con la nuova Germania di Herr Scholz

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il governo semaforo è un lavoro di equilibrismo e pazienza, una sintesi che è anche una delle lezioni più importanti di Merkel e ha a che fare con i ponti

Si doveva evitare la confusione, perché a quella già ci pensa la pandemia di ritorno, e così è stato: l’accordo di coalizione (accessibile con un QR code) della Germania è stato trovato nei tempi stabiliti, le indiscrezioni sono state chirurgiche, zero pettegolezzi, molta urgenza: il governo di sinistra e liberale del prossimo cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz entrerà in funzione dalla settimana del 6 dicembre, e metterà fine alla lunga stagione di Angela Merkel. Che ieri ha tenuto quello che si pensa sia l’ultimo suo consiglio dei ministri, si è messa in posa per le foto, ha ricevuto in dono una pianta (una cornus controversa Carpe Diem: “Dovremmo piantarne una foresta”, ha detto la ministra dell’Agricoltura che ha consegnato il regalo) e un bouquet colorato direttamente dal suo successore,  e sembrava, cosa rara per i leader in uscita, pacificata.

 

Scholz, con gli sherpa dei Verdi, i Grünen, e con quelli dei Liberali, l’Fdp, è riuscito a scrivere il contratto di coalizione (che ha uno slogan bello: “osare più progresso”) in tempi molto ristretti, se paragonati alle negoziazioni delle scorse legislature. C’era una determinazione politica condivisa a fare bene e in fretta, ma c’erano anche delle premesse complicate: se l’asse tra i socialdemocratici dell’Spd e i Verdi è considerato naturale, quello con i Liberali non lo è affatto. Certo, il leader dell’Fdp, Christian Lindner, era il più deciso di tutti: aveva perso la sua occasione di governo nel 2017, quando era uscito dal negoziato con la Merkel, e se n’era pentito moltissimo. Questa volta non voleva più avere rimorsi, anzi voleva cancellare quelli che lo hanno accompagnato in questi anni. Però il suo nome, che circolava da tempo e che è stato confermato, al ministero delle Finanze (che era stato dello stesso Scholz e che prima di lui era il feudo del tedesco più temuto e detestato d’Europa: Wolfgang Schäuble) aveva fatto tremare tutto il continente. Un falco liberale nel ministero economico più importante e influente d’Europa? Il sud dell’Ue non era proprio d’accordo. E tutti citavano le parole che disse Emmanuel Macron, presidente francese allora neoeletto, nel 2017 quando la Merkel faceva i colloqui di governo con Lindner: se la cancelliera va con i liberali, “io sono morto”. Ci andrà invece Scholz con i liberali, e Lindner sarà al ministero delle Finanze: bisognerà farsene una ragione, e sperare che l’equilibrio “semaforo” funzioni per tutti quanti noi.

 

Nella divisione dei dicasteri, all’Spd spetta quello che è considerato il ministero “kriptonite” (la definizione l’ha data Tom Nuttall, corrispondente dell’Economist a Berlino): la Sanità. Le lamentele di queste ultime settimane sulla Germania hanno avuto a che fare molto con l’arrivo della quarta ondata, che ha coinciso con questa fase di transizione. Pensare che la Merkel non abbia pensato, valutato, preso decisioni perché era in uscita è un’assurdità piuttosto stupida, ma certo al prossimo inquilino della Sanità (la cui sede istituzionale è a Bonn) toccherà un lavoro di organizzazione e rassicurazione non semplice. Ma sono i due leader dei Verdi i più chiacchierati del momento: lui, Robert Habeck, gran mattatore di questo negoziato con il suo innegabile carisma, prenderà la guida di un superministero che unisce Economia e Clima; lei, Annalena Baerbock, la candidata alla cancelleria che ha deluso un pochino alle elezioni del 26 settembre (anche perché le aspettative erano altissime), sarà ministro degli Esteri, ruolo molto importante e decisivo se si pensa, tra le altre cose, che i Verdi sono l’unico partito di Germania ad aver detto di voler fermare il gasdotto russo Nord Stream 2 (che però non è citato nell’accordo: vittoria dell’Spd).

 

Un liberale alle Finanze, i Verdi agli Esteri e in un superministero per Economia e Clima. All’Spd va il ministero “kriptonite”


Il contratto. “Il semaforo c’è”, ha detto Scholz presentando l’accordo di oltre centosettanta pagine: i partner di coalizione si guarderanno “negli occhi”, con rispetto reciproco. Nel testo è prevista una unità di crisi per la pandemia e Scholz ha detto che il nuovo governo  intensificherà la campagna di vaccinazione e prenderà in considerazione la possibilità di rendere obbligatori i vaccini per il personale sanitario e altri lavoratori essenziali. Una parte importante del contratto è dedicata  all’eliminazione del carbone entro il 2030, con 15 milioni di auto elettriche in circolazione, perché questo “è un compito dell’umanità”.  L’esecutivo si impegna a mantenere la disciplina fiscale, come chiesto dall’Fdp, ma includerà un salario minimo a 12 euro e un reddito di cittadinanza, con politiche abitative fatte per frenare l’aumento degli affitti (il limite è posto all’11 per cento in tre anni: ora è al 15 per cento). La nuova coalizione vuole anche abbassare l’età minima di voto e portarla a 16 anni.


I contrappesi. E’ tutto studiato al millimetro in questo governo, eppure Lindner sarà in una posizione di forza anche se Habeck e Baerbock hanno ottenuto ministeri  altrettanto potenti. Ralf Schuler, capo dei servizi parlamentari della Bild,  ci ha detto che per i Verdi il superministero affidato a Habeck “è un punto di svolta e anche un rischio”, perché sarà lui a doversi occupare di transizione energetica e se fallirà i Verdi potranno dare la colpa soltanto a loro stessi. Inoltre  ogni tentativo di rilancio del settore energetico dipenderà dalla necessaria cooperazione con il ministero delle Finanze, quindi con Lindner. Ma l’equilibrio sta tutto nel contratto, i governi tedeschi non navigano a vista: un patto si rispetta. E questa è una garanzia anche per gli europei e il testo dice che le regole del Patto di stabilità sono sufficientemente flessibili, ma non esclude “ulteriori sviluppi” per tre obiettivi: crescita, sostenibilità del debito e investimenti verdi. 


Gli artefici del patto. Non era semplice far andare d’accordo due partiti di sinistra con un partito che al Bundestag siede più a destra della Cdu di Angela Merkel. Una volta al governo non si litiga, l’equilibrio deve essere perfetto, sostenibile, per cui il lavorìo dietro a questa nuova coalizione è stato molto intenso. Il negoziato è stato condotto in modo analitico, sono stati organizzati ben ventidue tavoli per altrettante aree tematiche, a ogni tavolo si sono seduti circa dodici negoziatori, trecento in tutto. Finito il lavoro, la sintesi è stata affidata al gruppo di comando costituito dai quattro leader dei tre partiti e dai segretari generali. Ma sono tre i principali fautori di questa coalizione. Lars Klingbeil, segretario generale dell’Spd che assieme al pubblicitario Raphael Brinkert ha capito che strada doveva percorrere Scholz per farsi eleggere: doveva farsi un po’ più “cancelliera”. Michael Kellner, il segretario generale che lavora come un direttore dell’orchestra dei Verdi: dicono sia lui che trova il ritmo giusto  quando l’armonia tra Baerbock e Habeck si incrina. E Volker Wissing, il numero due di Lindner, che andrà al ministero dei Trasporti. Tra gli indefessi tessitori dell’accordo ci sono anche  il ministro degli Esteri uscente, il socialdemocratico  Heiko Maas, e la liberale  Nicola Beer, vicepresidente del Parlamento europeo,  molto chiacchierata dal suo stesso partito perché  il suo matrimonio sarebbe stato celebrato a Budapest da un amico di Viktor Orbán. 

 

Sopporteremo il cambiamento? Abbiamo domandato a Thomas Wieder, corrispondente per il Monde a Berlino, che effetto farà ai tedeschi, così restii al cambiamento, ritrovarsi in una Germania tutta nuova. Wieder ci ha spiegato innanzitutto che la difficoltà a cambiare per la Germania è sia strutturale sia congiunturale. Strutturale perché il sistema politico è fatto in modo tale da far accadere cose nuove soltanto se  c’è un largo consenso: quindi è più difficile che accadano. Congiunturale perché i tedeschi vengono da anni di crescita, di benessere e un po’ si chiedono: se stiamo bene, cosa cambiamo a fare? Il cambiamento quindi gli è  stato imposto dalla decisione di Angela Merkel di lasciare la politica e loro alle elezioni di settembre hanno fatto una scelta che, secondo Wieder, è un’alchimia di continuità e rivoluzione. “Scholz è un socialdemocratico piuttosto di destra, Merkel è una cristianodemocratica piuttosto di sinistra. Sono due centristi che si somigliano non solo politicamente, ma anche nello stile: riflessivi, calmi, poco carismatici, potremmo dire anche un po’ noiosi”. Il cambiamento è tutto nei voti che sono andati a Verdi e Liberali, che difatti avranno l’incarico di occuparsi delle questioni sulle quali la Germania è più indietro come clima e digitalizzazione. Wieder non sminuisce l’importanza di Merkel, ma è sicuro che sia in Unione europea sia in Germania, ci si abituerà in fretta a Scholz. Gli europei hanno già avuto a che fare con  l’ex ministro delle Finanze. I tedeschi ancora di più e  forse troveranno le prime settimane con il nuovo cancelliere un po’ bizzarre, ma nonostante la Merkel sia molto apprezzata, tra lei e i cittadini c’è un rapporto di stima, non di affetto, se ne faranno una ragione. “Sembra anche un po’ paradossale, ma è così, non è un legame sentimentale, soltanto professionale”. Forse i più scossi dall’uscita della Merkel sono gli esponenti della Cdu, il partito che senza la cancelliera non riesce più a organizzarsi. 

 

Abituarsi alla Germania senza Merkel per i tedeschi sarà bizzarro, ma non ne fanno una questione sentimentale


Gli ex. Dopo la sconfitta elettorale, la Cdu si è dedicata alla resa dei conti, ha fatto fuori il suo candidato Armin Laschet accusandolo di aver perso una partita semplice e ora si deve dare un nuovo leader per guidare l’opposizione. I contendenti sono tre, tutti maschi, due recidivi e uno invece che almeno può dire di essere un volto nuovo. I  soliti noti sono Friedrich Merz e Norbert Röttgen: il primo è stato già sconfitto alle primarie per la candidatura alla cancelleria e in realtà perde la sua sfida interna con la Merkel da sempre. Naturalmente è anche quello che dice sottovoce: io avrei vinto, ma la cancelliera non mi ha voluto dare la possibilità, e sulla carta è il favorito, anche se oggi sembra meno brutale del solito e smentisce quel che si dice sempre di lui: con me, “non ci sarà una virata a destra della Cdu”. Il secondo è Röttgen, ex ministro ed ex presidente della commissione Esteri del Bundestag, moderato e molto ambizioso, che fece una buona campagna alle primarie scorse, giocando il ruolo dell’innovatore pacifico, perché era più vivace di Laschet ma era comunque un continuatore dell’approccio merkeliano, per quanto pure lui era stato un po’ ostacolato dalla cancelliera. Poi c’è il terzo, l’inatteso.
    

L’inatteso.  Nessuno si aspettava che Helge Braun, capo della cancelleria federale quindi tra i collaboratori più stretti della Merkel, si candidasse alla guida della Cdu. Invece, all’ultimo, ha depositato il suo nome che sarà vagliato dai 400 mila iscritti al partito alle primarie. Due cose distinguono Braun dal principale rivale Merz. A gennaio, su  Handelsblatt, Braun rimise in discussione “il freno al debito, un dispositivo presente in Costituzione che contiene il deficit allo 0,35 per cento del pil nominale. Questo appello a violare una delle regole sacre della disciplina conservatrice tedesca ha fatto molto discutere, non è piaciuto quasi a nessuno nella Cdu ma ovviamente Merz è stato il più critico. La seconda ragione è personale: Braun è amato dalla Merkel, Merz no, e avete già capito. Wieder ci ha detto che secondo lui  la Cdu ha bisogno di un accordo  tra il  merkelismo e il  passato.  La sintesi potrebbe  proprio essere Röttgen. 

 

La grande lezione che la politica tedesca ha imparato da Angela Merkel è che per andare avanti, per realizzare programmi seri, bisogna cooperare. E’ quello che la cancelliera ha fatto in Germania e anche in Europa. Bisogna unire e trovare una sintesi, una colonna sonora che sappiano cantare tutti. Abbiamo scoperto che Berlino è una delle capitali d’Europa più facile da attraversare. Non c’entrano i mezzi, o non soltanto. C’entrano i ponti. Ne abbiamo contati più di duemila, oltre 600 attraversano fiumi e canali, che si srotolano per quasi 200 chilometri della superficie berlinese. Certo, Merkel non ha nulla a che fare con i ponti di Berlino, ma molto con i ponti in politica: per far funzionare le cose bisogna andare da una parte all’altra, se ci si incontra nel mezzo, la vista è migliore. 
 

(ha collaborato Daniel Mosseri)

Di più su questi argomenti: