
Nuuk, Groenlandia (foto Getty)
Il Grande Gioco dell'Artico
Groenlandia, l'isola sospesa fra Europa e America
Trump minaccia l’annessione dell’isola mentre Mosca e Pechino rafforzano la loro intesa nell’Artico. Reportage da Nuuk
Nuuk (Groenlandia). Con la sua distesa di case colorate alternate a grandi condomini affacciati sugli iceberg che galleggiano nel fiordo, Nuuk è abitata da quasi la metà di tutta la popolazione della grande isola. Ed è in questo avamposto di 19.000 abitanti, poco sotto il Circolo polare artico, che la storia ha ripreso a correre velocemente.
L’isola è sospesa fra Europa e America: fra il suo passato coloniale, le forti aspirazioni indipendentiste del popolo inuii, e le clamorose mire di Donald Trump che vorrebbe fare dell’isola il 51esimo stato dell’Unione. Tre ore di fuso orario dividono Nuuk da Bruxelles e da Washington ed è proprio nelle due capitali del vecchio e del nuovo continente che il governo locale ha aperto negli anni scorsi le sue due prime “ambasciate”, embrione di una rete diplomatica fondamentale per creare le condizioni di una piena futura sovranità.
Geograficamente “americana” e storicamente “europea”, l’isola dei ghiacci ed ex colonia danese è oggi una “nazione costitutiva” del Regno di Danimarca, e grazie al Self Rule Government Act del 2009 ha conquistato un ampio grado di autogoverno.
Il Passaggio a nord-ovest (fra Groenlandia e Canada) e quello a nord-est (fra Groenlandia e Federazioni Russa), non sono più soltanto una chimera inseguita dagli esploratori dei secoli scorsi, ma una possibilità concreta ed entrambi i passaggi rendono possibili già oggi rotte più vantaggiose di Suez e del Canale di Panama. Ed è qui che Stati Uniti, Russia, Cina, Canada ed Europa potrebbero rapidamente entrare in rotta di collisione.
La via pedonale Imaneq è cosparsa di una compatta lastra di ghiaccio. E’ mattina, il freddo secco non supera i -6 gradi. La baia è solcata in questi giorni dal Pattugliatore oceanico della Danish Royal Navy, HDMS Vædderen, 3.500 tonnellate, 118 metri di stazza ed un armamento molto italiano: un cannone Oto Melara da 76mm e un elicottero Agusta Westland.
La Danimarca mantiene sull’Isola il proprio Commando artico con tre piccole basi militari sulla costa est, fra cui Station North di fronte al GIUK Gap, il corridoio strategico che collega Groenlandia, Islanda e Regno Unito, fondamentale per il controllo delle rotte navali e sottomarine nell’Atlantico settentrionale e terminale del Passaggio a nord-est.
Un’annessione forzata della Groenlandia da parte degli Stati Uniti avrebbe conseguenze disastrose, sia per l’America che per il mondo, ma la prospettiva di un’azione del genere è ora molto meno remota di quanto si pensasse fino a ieri.
E la crescente tensione fra Europa e America apre nuove opportunità per Russia e Cina. La Russia con le sue cinquanta navi rompighiaccio e sottomarini a propulsione nucleare ha dominato per lungo tempo su quasi la metà delle terre e dei mari dell’Artico. La Cina si definisce da tempo una “near arctic power” e ha messo in cantiere massicci investimenti tecnologici e cantieristici navali con la costruzione di nuove navi rompighiaccio, insieme a investimenti infrastrutturali e minerari in Groenlandia. E nell’Artico l’alleanza fra Cina e Russia è sempre più solida. “Vladimir Putin sta pensando di costruire una nuova organizzazione internazionale nell’Artico insieme alla Repubblica popolare cinese”, racconta Sari Arho Havrén, ricercatrice del Royal United Service Institute (Rusi).
La crescente tensione fra Europa e America nell’isola apre nuove opportunità per Russia e Cina
La ministra della Groenlandia Naaja Nathanielsen è stata da poco confermata nel nuovo governo di coalizione nato in seguito alle elezioni dell’11 marzo. Fa parte del partito ecologista, di sinistra e indipendentista Inuit Ataqatigiit e ha un portafoglio ampio: imprese, commercio, minerali e risorse naturali, giustizia. E’ lei che nel 2021 ha fatto approvare la legge per il bando dell’estrazione dell’uranio sull’isola ed è sempre lei che ha revocato la concessione mineraria di Kvanefjeld in mano al consorzio cinese e australiano (Energy Transition Mineral), controllato dal gruppo Shenge con sede a Pechino, per l’estrazione di terre rare e uranio, con un valore potenziale stimato intorno ai 6 miliardi di dollari.
La incontro nell’edificio con le pareti di legno dipinte di rosso del suo ministero nel centro di Nuuk: “L’azienda cinese è molto aggressiva, ed è in corso un arbitrato… non siamo contrari in linea di principio allo sfruttamento minerario e la Groenlandia ha enormi potenzialità”, si alza indicando una grande mappa nel suo ufficio con una completa mappa geologica del paese: litio, terre rare, nickel, cobalto, gas naturale… “Vogliamo però decidere noi sulle nostre risorse”.
Il nuovo consolato degli Stati Uniti d’America in Groenlandia è ospitato in una piccola casa tradizionale di legno rosso e i tetti di ardesia a ridosso del porto di Nuuk. Il 15 marzo scorso ha visto sfilare sotto le sue finestre la più grande manifestazione dell’intera storia della Groenlandia con oltre diecimila manifestanti. La grande marcia degli inuit era guidata dal premier uscente Múte Bourup Egede, e da quello appena nominato, Jens Frederik Nielsen, leader del partito Demokraatit, uscito vincente dalle elezioni generali dell’11 marzo 2025. “Lasciatemelo ripetere: la Groenlandia appartiene al popolo groenlandese – mi racconta Egede – Il nostro futuro e la lotta per l’indipendenza sono affari nostri e se fino a poco tempo fa potevamo contare con fiducia sugli americani, che erano nostri alleati e amici, quel periodo è finito, dobbiamo riconoscerlo”.
“La Groenlandia sarà americana?” – chiedo al tassista che avanza a fatica fra le strade ghiacciate di Nuuk – e lui senza neanche aspettare la fine della frase, si volta agitato gridando: “Never… never”. E lo stesso never lo ripete un secondo tassista, e poi di nuovo “never!” urlato dai baristi del caffè Cafetuaq al Centro Culturale Natuaq, cuore nevralagico della vita sociale cittadina.
“La Groenlandia sarà americana?”. “Never”, mi risponde un tassista. Jørgen Boassen invece lo spera
Ma c’è anche chi l’America la vuole. Incontro Jørgen Boassen al caffè Keto nel Centro Commerciale di Nuuk in una giornata ventosa che fa crollare la temperatura percepita a molti gradi sotto lo zero. Si presenta con una tee-shirt Maga e l’immagine dell’attentato a Donald Trump il 13 luglio del 2024 a Butler, in Pennsylvania, con la scritta: “American Badass”. “Sono io che ho organizzato la visita e il comitato di accoglienza di Donald Trump jr lo scorso 7 gennaio 2025”, dice. Sa di essere una piccola minoranza nel paese, ma non demorde. “La cosa migliore che gli Stati Uniti possono offrire alla Groenlandia è quella di diventare il 51esimo stato dell’Unione – attacca – oppure diventeremo una Repubblica con un nostro seggio alle Nazioni Unite ed un accordo di libera associazione con gli Stati Uniti sul modello di quanto già accade con Palau, le Isole Marshall e la Micronesia”.
Il nuovo Grande Gioco dell’Artico è appena iniziato.