L'intesa da trovare

Chi sapeva e chi no della controproposta di Hamas che non cita gli ostaggi rimasti vivi

Micol Flammini

Israele ha preso il valico di Rafah e questo ha un risvolto anche in Egitto: il valore simbolico,  strategico e la leva negoziale dietro le quinte 

L’esercito israeliano ha preso il controllo del valico di Rafah dal lato di Gaza. Dall’altra parte c’è l’Egitto con tutti i suoi timori che un’operazione nella città del sud possa portare i civili  in cerca di un rifugio  ad accalcarsi lungo la frontiera e da quando la guerra è iniziata, dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre contro Israele, il Cairo ha detto che non ha nessuna intenzione di accogliere i palestinesi in fuga. Per questo il Cairo si è messo a mediare, a fare proposte per un accordo che possa portare a un cessate il fuoco e alla liberazione degli ostaggi israeliani. Dell’Egitto Israele si fida, del Qatar, l’altro mediatore, no. Quando lunedì sera  Hamas ha annunciato di aver accettato una proposta di accordo senza citare la liberazione dei prigionieri e lasciando intendere di aver acconsentito alla bozza su cui nei giorni precedenti le delegazioni avevano lavorato al Cairo, dove erano presenti funzionari di Hamas, mediatori egiziani, qatarini e  il direttore della Cia Bill Burns, ma non la delegazione di Israele, il governo di Gerusalemme si è reso conto che in poco tempo erano state presentate due bozze diverse di cui era l’unico a non essere al corrente. La decisione del gabinetto di guerra  – di cui fanno parte il premier Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Yoav Gallant, l’ex capo di stato maggiore e capo del maggior partito di opposizione Benny Gantz e il suo alleato,  il generale Gadi Eisenkot – è stata di aumentare la pressione su Rafah e di portare avanti lo sforzo negoziale, ma senza farsi intrappolare nella rete delle richieste di Hamas.

 

Quello che avviene a Rafah ha un risvolto al Cairo, e la presa del valico che divide l’Egitto dalla Striscia ha un valore  simbolico e strategico: dimostra che Tsahal è in grado di arrivare ovunque senza che Hamas possa bloccarlo e mette sotto il controllo di Israele uno dei punti fondamentali di Gaza da cui entrano gli aiuti e sotto il quale si snodano i tunnel che possono consentire ai terroristi di fuggire. Mettendo il valico sotto il proprio controllo, Israele toglie a Hamas la possibilità di appropriarsi  degli aiuti umanitari e il prossimo passo sarà quello di affidare il controllo del trasferimento degli aiuti ai palestinesi che non sono legati a Hamas. Senza il valico, i terroristi hanno meno leve di potere dentro alla Striscia. 

 

Lunedì, prima di prendere la decisione di puntare sul valico di Rafah, Israele ha ottenuto la  bozza di intesa  soltanto un’ora dopo l’annuncio di Hamas, quando ormai la notizia che i terroristi avessero “accettato l’accordo” era stata data, diffusa e ripresa. Tra la proposta che Israele aveva accettato da giorni e quella a cui avrebbe aderito Hamas ci sono differenze rilevanti, una riguarda la fine della guerra, la seconda le fasi necessarie a implementare l’accordo e,  la più importante,  gli ostaggi. Secondo i termini dell’accordo pubblicati da al Jazeera, Hamas non ha intenzione di impegnarsi nella liberazione di ostaggi vivi, non fa differenza tra  sopravvissuti e non, e intende rilasciare tre prigionieri, senza specificare se vivi o morti,  ogni sette giorni durante i quali si riserva di valutare se Israele rispetta o meno i termini per il cessate il fuoco: se scoppia anche un petardo nella Striscia sarà Hamas a stabilire cosa è successo. Israele ha deciso di non soffermarsi troppo sulle responsabilità dei mediatori, sulla fretta dell’Egitto nell’evitare l’operazione a Rafah o su cosa sapessero gli Stati Uniti, ieri una delegazione è arrivata  al Cairo a perorare l’accordo per la liberazione dei rapiti ancora vivi nella Striscia. Come ha detto un funzionario americano ad Axios: “Per garantire un cessate il fuoco, Hamas deve semplicemente rilasciare gli ostaggi”.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.