il tempo per la tregua

Israele punta a Rafah e l'Egitto scalpita per concludere l'accordo

Micol Flammini

I palestinesi si accalcano a sud, ma lo spazio della Striscia è finito. Hamas detta nuove condizioni e per il rilascio degli ostaggi vuole che vengano scarcerati Marwan Barghouti e Ahmad Saadat

Uscire da Gaza costa vita, denaro e pazienza. Il valico di Rafah al confine con l’Egitto è diventato un vicolo cieco, ci si accalca nella speranza di partire.  Da quando Israele ha iniziato a bombardare la Striscia dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre, il valico di Rafah è stato chiuso e la popolazione numerosa della Striscia ha iniziato a riversarsi   in condizioni di vita misere e precarie nell’ultimo avamposto prima del confine egiziano. In un distretto che prima ospitava più di trecentomila persone, ne sono arrivate oltre un milione e a circa cinquanta metri dal confine sanno che la guerra non c’è. Quel confine però è sbarrato, l’Egitto è stato categorico e le regole per uscire da Gaza sono stringenti e riguardano palestinesi con doppia cittadinanza o parenti di cittadini residenti in paesi che ne consentono l’ingresso. Finora sono uscite circa quattordicimila persone, molte stanno cercando ancora di passare e nel gruppo Facebook “Rete di attraversamento di Rafah” ci si scambiano  richieste e consigli e si discute di una via alternativa e non ufficiale, smentita dagli egiziani già più volte, ma di cui si continua a parlare. Alcuni “coordinatori” attivi al di là dal confine, legati ad agenzie,  permettono di uscire dietro il pagamento di una somma che può arrivarefino  a diecimila dollari. 


Il ministro della Difesa Yoav Gallant ha avvertito che la campagna militare di Israele continuerà verso  Rafah, proprio fino a dove l’Egitto non vuole che l’esercito israeliano arrivi: non vuole che la pressione dei palestinesi al confine aumenti e non vuole  che Tsahal   prenda il controllo del Corridoio di Filadelfia, che taglia in due Rafah e nella parte egiziana è controllato da oltre settecento guardie. Eppure, secondo alcuni analisti israeliani, senza tregua, ora  non si può fare a meno di spingere ancora più a sud, dove ci sono altri tunnel. Non si sa fino a quando l’Egitto non protesterà contro  l’avanzata israeliana ma  intanto il presidente al Sisi riceverà al Cairo il suo omologo Recep Tayyip Erdogan, una visita del leader turco  non avveniva dal 2013 e questa volta Erdogan, che porta avanti una  campagna  contro Israele con tanto di motivetti che cantano “dal fiume al mare”, potrebbe affacciarsi proprio al corridoio di Filadelfia. 


L’Egitto è uno dei paesi che sta lavorando all’accordo per la liberazione degli ostaggi e ha tutto l’interesse affinché Tsahal non prosegua verso sud. Ieri la stampa israeliana notava che, nonostante l’ottimismo, per vedere il piano concretizzarsi potrebbe mancare ancora un po’ di tempo. Per quanto Israele e Hamas non si parlino direttamente, quando stanno per siglare qualcosa di grande, i loro rappresentanti si trovano se non nella stessa stanza sicuramente nella stessa città. Sono giorni che il gruppo di terroristi dice di stare “studiando la proposta”, mentre a Gerusalemme ai ministri non è stato presentato ancora nessun piano. Esistono quindi delle linee di massima, una cornice generale, in cui le parti continuano a inserire dettagli. Hamas può  rinunciare a chiedere il ritiro definitivo di Tsahal da Gaza, non si sente sconfitto e punta all’effetto propagandistico della sua mancata eliminazione.  Gerusalemme ha accettato ormai che il cessate il fuoco sia lungo e quando saranno raggiunti i termini stabiliti intende riprendere la guerra con azioni mirate, ha  abbandonato l’idea di distruggere i tunnel e di scovare ogni uomo di Hamas con i bombardamenti e se l’accordo ci sarà, intende portare avanti una guerra molto diversa: questa intensità e questo dispiegamento di uomini iniziano a non essere più sostenibili. Quindi tutti stanno cambiando i loro piani e Hamas, se non punta più sul ritiro israeliano, punta sui prigionieri che Israele dovrebbe liberare per riportare gli ostaggi a casa. Far uscire i palestinesi dalle carceri israeliane è una delle smanie di Yahya Sinwar, uno dei leader introvabili rimasti nella Striscia, anche lui era stato detenuto in Israele, ci sarebbe dovuto rimanere a vita, ma uscì in seguito allo scambio più sproporzionato in fatto di numeri che ci sia mai stato e su cui gli israeliani si arrovellano ancora: un soldato per mille detenuti, tra cui terroristi. Uscendo dal carcere, Sinwar promise che avrebbe fattorilasciare tutti e adesso il portavoce di Hamas a Beirut ha chiesto la scarcerazione di migliaia di palestinesi, tra cui Marwan Barghouti e Ahmad Saadat, leader della Seconda Intifada.
 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.