Soldi e politica
L'influenza di Jeff Yass, che vuole salvare Tik Tok dai divieti di Washington
Il miliardario puntò sul social cinese un decennio fa. Quanto e come ha influenzato Trump, che oggi dice: Facebook è comunque peggiore e i ragazzini devono prendersla con Biden se non potranno più accedere a TikTok
Nello scontro tra Washington e TikTok, Jeff Yass ha molto da perdere. Sessantotto anni, ex giocatore di poker professionista, grande amante delle scommesse (partì con le corse dei cavalli ma in un’intervista ha detto che scommette anche sulle partite dei suoi figli), Yass ha fondato molti anni fa una solida società di trading, il Susquehanna International Group, che oggi detiene circa il 15 per cento di ByteDance, la compagnia cinese proprietaria di TikTok, una quota che vale circa 40 miliardi di dollari. Secondo il Wall Street Journal, Yass ha anche una quota a titolo personale in ByteDance: il 7 per cento, 21 miliardi di dollari. Il Financial Times ha raccontato ieri che il primo investimento di Yass in ByteDance, un decennio fa, fu di 80 mila dollari, dopo che Zhang Yiming, fondatore di ByteDance, gli aveva descritto l’idea di TikTok con dei disegnini su un tovagliolo di carta in un bar di Pechino.
L’investimento di Yass allora era visionario, oggi invece è strategicamente rilevantissimo ed è per questo che combatte in tutti i modi chi vuole vietare il social cinese in America: è anche per questo che, secondo i dati di OpenSecrets, al momento è il più generoso finanziatore del Partito repubblicano del 2024, con 46 milioni di dollari donati a Pac e SuperPac conservatori. Libertario, molto attento alle politiche per rendere più meritorio il sistema scolastico, Yass è sempre stato generoso. Lo è stato nel 2016 e nel 2020, ma a questo ciclo elettorale lo è di più, molti dicono proprio perché vuole salvare TikTok. Non gli sta riuscendo: sabato al Congresso, 360 deputati hanno votato a favore (58 contro) di un progetto di legge che dà nove mesi di tempo a ByteDance per vendere le attività americane di TikTok a un’azienda americana, altrimenti il social non sarà più operativo negli Stati Uniti. Tra i contrari però ci sono 15 repubblicani e di questi circa la metà è legata o al Club for Growth, che lavora per salvare TikTok in America e che ha ricevuto una donazione di 16 milioni di dollari da Yass, o al Protect Freedom Pac, cui Yass ha donato 6 milioni di dollari.
Poi c’è Donald Trump. L’ex presidente, quando era alla Casa Bianca, aveva firmato un decreto esecutivo, nel 2020, per vietare TikTok, che era chiamato e considerato “il fentanyl digitale”, una droga letale. A marzo, quando si è discussa e votata al Congresso una prima stesura del “ban”, Trump aveva messo fine alla sua crociata anti social cinese, dicendo che in fondo TikTok non è peggio di Facebook, ma Facebook è un’arma usata dai democratici contro di lui e contro i repubblicani, quindi dovrebbe essere il bersaglio primario, assieme a tutta Meta. Pochi giorni prima, Trump era stato a un evento del Club for Growth, aveva detto che era scoppiato l’amore tra lui e quest’organizzazione conservatrice libertaria che non lo aveva mai amato, anzi, e da quel giorno si discute delle promesse e dei fondi che Yass può avergli garantito. Nel frattempo Yass ha investito nella società che ha la proprietà di Truth Social, la piattaforma social di Trump e su cui Trump posta come una volta faceva su Twitter (che intanto è diventato X e lo ha riammesso, ma per ora Trump non lo utilizza).
Yass non è mai stato un sostenitore di Trump: fino alle primarie di quest’anno, i suoi finanziamenti li ha dati a candidati rivali dell’ex presidente, che però ora è il candidato del Partito repubblicano per le presidenziali di novembre. All’inizio di aprile, Yass ha pubblicato un editoriale sul Wall Street Journal in cui ribadisce di non essere mai stato un trumpiano e di non finanziare la campagna di Trump, ma è a favore del programma di “school choice” che prevede la possibilità per i genitori americani di scegliere le scuole più adatte per i propri figli, indipendentemente che siano vicine o lontane da casa e che siano pubbliche o private: sostiene i candidati al Congresso e governatori a favore di questa politica e dice che Joe Biden sarebbe la scelta peggiore come presidente per chi, come lui, vuole questo diritto di scelta scolastica.
Di scuola Trump non parla granché, ma su TikTok si è rimangiato anni di parole e strategie: ancora due giorni fa ha scritto su Truth che l’obiettivo del Congresso non dovrebbe essere il social cinese ma Facebook e Meta, che adottano pratiche “anche illegali” contro i repubblicani. Trump ha aggiunto anche un altro punto di attacco a Biden: soprattutto i ragazzi devono sapere che se non potranno più usare TikTok (ma non era il fentanyl digitale?) la responsabilità sarà di questo presidente “corrotto”, che punta su Facebook per imbrogliare un’altra volta alle presidenziali.
l'editoriale dell'elefantino