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Ci mancava giusto che Osama bin Laden “aprisse gli occhi” su Hamas ai giovani di Tik Tok

Paola Peduzzi

Molti utenti hanno condiviso, commentato, rilanciato la "lettera all'America" che il leader di al Qaida aveva pubblicato nel 2002. La rimozione dal sito del Guardian, la connessione con Jeremy Corbyn e le colpe dei contribuenti americani

La “lettera all’America” che  Osama bin Laden scrisse nel 2002 ha “aperto gli occhi” a migliaia di utenti di TikTok che l’hanno condivisa, commentata, rilanciata, convincendosi che quel che l’occidente imperialista filoisraeliano chiama terrorismo in realtà non è altro che un moto di liberazione dall’oppressione, giustizia sociale a livello globale. Un’oppressione in particolare: quella di Israele contro il popolo palestinese. Ci sono tanti giovani su TikTok che dicono: andate a leggere la lettera all’America (dopo poco non c’è stato più bisogno di dire il nome dell’autore) e poi venite a dirmi cosa ne pensate, perché questa lettera ha cambiato la visione del mondo, ora sono “in crisi esistenziale” e non potrò mai più guardare il mio paese, cioè l’America, con gli stessi occhi – gli occhi di chi parla talvolta sono lucidi.

In quello scritto di ventuno anni fa Osama bin Laden spiegava perché aveva organizzato l’11 settembre e ucciso tremila persone. “La creazione e la continuazione dello stato di Israele è uno dei più grandi crimini” globali, scriveva Bin Laden, “ogni persona le cui mani sono state sporcate contribuendo a questo crimine deve pagare il suo prezzo, e pagare pesantemente”. Per il leader di al Qaida non esistevano americani innocenti, perché “pagano le tasse” con cui vengono finanziati gli aerei che ci bombardano in Afghanistan, i carri armati e i raid che distruggono le nostre case in Palestina, gli eserciti che occupano le nostre terre nel Golfo arabico e le flotte che fanno l’embargo all’Iraq e lo affamano. Per questo gli americani, che sono così fieri di potersi scegliere i loro leader – la peggiore civiltà di sempre, scrive Bin Laden – sono complici degli orrori, “non possono essere innocenti rispetto a tutti i crimini che l’America e gli ebrei hanno commesso contro di noi”. Non esistono quindi vittime civili, secondo il leader di al Qaida.

La “lettera” è riemersa perché nella prima parte dice che l’11 settembre è stato una reazione all’esistenza dello stato di Israele: fu pubblicata sull’Observer, l’edizione domenicale del Guardian, il 24 novembre del 2002, e lì è sempre stata fino a mercoledì quando il quotidiano britannico ha deciso di toglierla senza dare spiegazioni. La rimozione è stata vissuta come un altro atto di oppressione, non volete farci sapere che bin Laden aveva ragione, e poi per chi ci avete preso?, la lettera si trova ovunque sul web. E’ vero, si trova, ma la versione che circola di più (è il primo risultato di Google ed è su un sito governativo americano) e che viene anche questa segnalata per sfidare i censori cita a un certo punto “Obama” che vuole lasciare in Iraq “un terzo dei soldati” – un Bin Laden del 2002 invero visionario.

Ma la rimozione dell’articolo ha anche portato a un altro filone di interpretazione del fenomeno di riabilitazione di Bin Laden: è tutta una costruzione generazionale, siccome i vecchi sono a favore di Israele e i giovani invece vanno in piazza contro Israele, i vecchi attaccati al potere stanno cercando di far sembrare tutti i giovani estremisti, ignoranti, fan di Hamas e di Bin Laden. In questa interpretazione non si tiene conto dei tanti giovani che, sempre su TikTok, hanno detto: ragazzi no, giustificare l’11 settembre non si può, farsi dettare la linea dal leader di al Qaida non si può.

Le conclusioni di questo caso del giorno le tirerà ognuno di noi, intanto due cose. Nel 2002, Osama bin Laden pubblicò in arabo questa lettera, che era un estratto di un suo discorso, e il Guardian decise di tradurla e di pubblicarla dentro alla sezione riservata alle opinioni. A guidare quella redazione allora era Seumas Milne, un brillante giornalista allora quarantenne che lavorava nel giornale da vent’anni e che il 13 settembre del 2011, cioè due giorni dopo l’attentato alle Torri gemelle, aveva pubblicato un suo articolo in cui diceva: gli americani non ce la fanno proprio a capire perché sono odiati, è assente “qualsiasi barlume di comprensione del perché questa gente sia stata spinta a compiere tali atrocità, sacrificando la propria vita – o del perché gli Stati Uniti sono odiati con tanta amarezza, non solo nei paesi arabi e musulmani, ma in tutto il mondo in via di sviluppo”. Oggi ricordiamo soltanto che il mondo si unì in un solidale “siamo tutti americani”, ma i Milne che dicevano che Bin Laden era stato addestrato dalla Cia e dall’MI6 e che poi si era ribellato di fronte ai tanti disastri americani e occidentali fatti nel mondo c’erano eccome. Nel 2015, Milne è diventato ancora più noto: è stato nominato capo della comunicazione dell’appena nominato leader del Labour Jeremy Corbyn, il sostenitore di Saddam Hussein, di Bashar el Assad, di Vladimir Putin che qualche giorno fa, intervistato da Piers Morgan, non ha detto “sì” alla domanda ripetuta più e più volte: Hamas è un gruppo terroristico?

La seconda cosa: Bin Laden citava spesso la Palestina in particolare all’interno della sua missione di “liberazione delle terre musulmane”. Nella sua dichiarazione di guerra del 1996 contro l’occidente o nella sua “fatwa” del 1998, che sono considerate i testi fondanti del suo pensiero e dell’organizzazione dell’attentato dell’11 settembre non citava la causa palestinese come fattore trainante. Il nesso ideologico con Hamas non è in discussione, ma come stiamo vedendo in queste settimane nel mondo islamico sostenere Hamas e morire per Hamas sono due cose diverse.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi