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Le corti e le urne

Il Gop americano è in imbarazzo sull'aborto. Il caso Arizona e gli altri stati

Marco Bardazzi

Martedì sera in Arizona la Corte suprema locale ha reintrodotto una legislazione di totale divieto sull’aborto che risale al 1864 e con ogni probabilità a novembre gli abitanti dovranno votare un referendum per abolirla. Un doppio voto, che i repubblicani temono

L’aborto continua a frammentare e polarizzare gli Stati Uniti e a ritagliarsi un ruolo forse decisivo nella corsa alla Casa Bianca. A novembre si profila un Election Day nel quale gli americani non saranno chiamati a pronunciarsi solo in una specie di referendum-bis su Trump-Biden, ma in molti stati al seggio si troveranno tra le mani anche un referendum vero, sul tema dell’interruzione di gravidanza. Politicamente, è una buona notizia per i democratici e pessima per i repubblicani, che continuano a incassare vittorie indesiderate su questo fronte.
 

L’ultima risale a martedì sera in Arizona, quando la Corte suprema locale ha reintrodotto una legislazione di totale divieto sull’aborto che risale al 1864. Sembra un successo per i conservatori, in realtà è l’ennesimo campanello d’allarme per Donald Trump su un tema che da sempre gli sfugge di mano. Stavolta per di più in uno stato che è tra i sei-sette decisivi per andare alla Casa Bianca e che Joe Biden nel 2020 ha vinto per meno di 11 mila voti.
 

L’Arizona per il momento manterrà l’attuale limite di quindici settimane per ottenere un’interruzione di gravidanza, ma la legge del 1864 potrebbe scattare presto e con ogni probabilità sarà accompagnata a novembre da un referendum per abolirla. I democratici ci sperano, perché è un dato di fatto che le restrizioni sull’aborto stiano mobilitando il loro elettorato. Dall’altra parte il disagio repubblicano è incarnato dalla reazione della super trumpiana Kari Lake, candidata al Senato in Arizona: un tempo invocava il ritorno della legge del 1864, ma adesso che la Corte l’ha accontentata, la Lake si è rivolta agli avversari democratici per cercare “una soluzione di buon senso” e un compromesso sull’aborto.
 

È dal 24 giugno 2022 che il Partito repubblicano è sulla difensiva su questo tema, paradossalmente per colpa di una vittoria “troppo grossa”. Quel giorno la Corte suprema di Washington ha cancellato dopo 50 anni la storica sentenza Roe v Wade che garantiva il diritto costituzionale all’interruzione di gravidanza, aprendo la strada a una fase nella quale il compito di scegliere torna agli stati. Era l’obiettivo che il movimento pro life perseguiva da decenni ed è stato reso possibile da una composizione della Corte che vede una maggioranza conservatrice di 6-3, grazie a tre nomine fatte da Trump.
 

I repubblicani non erano pronti a vincere. Negli anni di Trump non c’è stato alcun serio dibattito nel partito su quale tipo di modello alternativo offrire a Roe. Nessuna idea condivisa è emersa nella loro litigiosa pattuglia in Congresso. Gli stati controllati dal partito di Trump sono andati così ognuno per la propria strada, imponendo divieti assoluti all’interruzione di gravidanza o mettendo paletti a sei, dodici, quindici settimane. I democratici hanno invece saputo cavalcare l’indignazione del mondo pro choice e l’hanno trasformata in potenza di fuoco politica. Lo si è visto in occasione delle elezioni di midterm del 2022 o quando l’aborto è stato sottoposto a referendum in Ohio o in Kentucky e ha trainato l’affluenza alle urne degli elettori di sinistra. Ogni proposta di rendere l’aborto più libero, fino a ora, è stata approvata.
 

È per questo che il partito di Biden ha esultato nei giorni scorsi quando la Corte suprema della Florida ha ratificato la legge voluta dal governatore Ron DeSantis che limita l’accesso all’aborto alla sesta settimana, ma nello stesso tempo ha dato via libera a un referendum a novembre per decidere se alzare quel limite. È dai tempi di Barack Obama che i democratici ritengono la Florida non più conquistabile, ma il referendum all’improvviso l’ha riportata alla ribalta: se l’aborto gli facesse vincere lo stato di DeSantis, Joe Biden non avrebbe alcun problema a restare alla Casa Bianca.
 

Trump ha cercato di correre ai ripari, dopo l’annuncio della Florida, spiegando per la prima volta la sua linea sul tema dell’interruzione di gravidanza. In sostanza ha detto di essere a favore della scelta dei singoli stati e non di una legge nazionale. Poche ore dopo uno stato, l’Arizona, lo ha messo in imbarazzo. L’aborto torna così a essere centrale con tutte le sue contraddizioni. Potrebbe determinare la corsa alla Casa Bianca pur essendo un tema sul quale un presidente ha ben poca voce in capitolo. E potrebbe scatenare una mobilitazione per “proteggere i diritti riproduttivi delle donne”, in un momento in cui gli aborti volontari non sono affatto in calo: nel 2023 hanno superato il milione per la prima volta dal 2012. Ad aumentare è soprattutto il ricorso alle pillole di mifepristone (63 per cento degli aborti americani), sulla cui diffusione entro giugno si deve pronunciare la Corte suprema. Che potrebbe dare un’altra scossa alla corsa alla Casa Bianca. 

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