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Il colloquio

Mosca sta sbagliando tutto con lo Stato islamico. La versione di due esperti

Davide Cancarini

L'attenzione mediatica sull'attentato al Crocus potrebbe spingere i membri dell'Isis-Khorasan a compiere nuovi attacchi contro la Russia. A complicare il quadro ci sono le possibili ritorsioni delle autorità russe nei confronti dei migranti musulmani provenienti dall'Asia centrale

Tanto inaccessibile dal punto di vista geografico, perlomeno in alcune sue aree, quanto potenzialmente permeabile all’estremismo islamico. Dopo l’attentato che ha colpito Mosca, l’Asia centrale è finita sotto di nuovo ai riflettori come uno dei territori in cui lo Stato islamico, nella sua accezione locale del  Khorasan, sta raccogliendo un numero crescente di affiliati. “Dopo che per anni sono stati Siria e Iraq i bacini prediletti, da tempo lo Stato islamico riesce a essere un polo d’attrazione in Asia centrale”, dice al Foglio l’esperto di terrorismo  Lucas Webber. “Lo Stato islamico del Khorasan ha anche creato sezioni media in lingua tagica e uzbeca e personalizzato i messaggi per fare breccia in queste comunità, in patria e all’estero”. 

  
Scorrendo la cronaca più recente si nota come il contingente centro asiatico sia stato coinvolto in attacchi compiuti in Iran, Turchia e, stando alla rivendicazione rilasciata, in Russia. La gittata del movimento sta quindi aumentando, causando preoccupazione nelle forze di sicurezza di diversi paesi. La tempistica dell’attacco moscovita non sembra causale, come sottolinea anche Webber: “Dopo l’attacco di Hamas e la risposta militare israeliana del 7 ottobre, lo Stato islamico ha intensificato gli sforzi per incitare i suoi sostenitori alla violenza e ha incrementato le sue attività operative esterne”. Anche la distrazione dei servizi di intelligence russi, con gli occhi puntati su Ucraina, Siria e Africa, avrebbe avuto un ruolo, facilitando il lavoro sottotraccia dei terroristi. 

 
Il grande numero di vittime a Mosca e l’attenzione mediatica ricevuta potrebbero motivare ulteriormente i membri dello Stato islamico del Khorasan, con nuovi attacchi nei confronti della Russia che non sono da escludere. “La Russia è stata individuata come nemico principale insieme agli Stati Uniti nel 2014 e il suo status di obiettivo prioritario è stato elevato in seguito alla campagna militare in Siria. Lo dimostra per esempio l’attacco suicida all’ambasciata russa in Afghanistan del settembre 2022, legato anche al rapporto positivo instaurato dal Cremlino con i Talebani”. 

 

È probabile che essere nel mirino porti Mosca a inasprire l’atteggiamento nei confronti dei musulmani presenti sul territorio della Federazione, una prospettiva che trova conferma nelle parole di Temur Umarov, esperto del Carnegie Russia Eurasia Center: “Ritengo che le forze di sicurezza russe saranno ancora più sospettose verso i migranti musulmani provenienti dall’Asia centrale e del Caucaso e che le politiche migratorie verso la Russia verranno rese più stringenti”. Una dinamica che in modo  prevedibile si allargherà anche all’Asia centrale, considerando anche che i regimi della regione hanno portato avanti, spesso addirittura rendendo ancora più dure, le politiche antireligiose che erano tipiche del dominio sovietico dell’area e che sono tra le cause che hanno portato alla radicalizzazione. “La repressione contro gli appartenenti alla comunità religiosa della società crescerà dopo l’attentato a Mosca, in tutte le repubbliche dell’Asia centrale ma soprattutto in Tagikistan”, continua Umarov, “anche se al momento le autorità regionali stanno osservando l’evolversi della situazione, limitandosi a suggerire prudenza ai propri cittadini presenti nei centri urbani russi”.

 
Secondo Valentina Chupik, avvocatessa che lavora con gli immigrati presenti in Russia, nei due giorni immediatamente successivi all’attentato di Mosca sono emerse 2.500 segnalazioni di atti di aggressione. Anche se negli ultimi giorni la situazione si è esacerbata, le comunità straniere sono da tempo bersaglio di repressione da parte della polizia: i raid nelle fabbriche che impiegano lavoratori migranti, nelle moschee e nei luoghi di ritrovo abituali di queste minoranze sono una costante e solo nel 2023 le autorità russe avrebbero proceduto all’espulsione di 15mila persone.