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A Mosca

La caccia al tagico in Russia. Migranti, vessazioni e le minacce dello Stato islamico

Davide Cancarini

I lavoratori tagichi in Russia vivono in condizioni estreme e sono spesso oggetto di attacchi xenofobi. Ma la loro presenza è fondamentale per tenere in piedi l'economia del Cremlino 

La lontananza tra le cause e gli effetti che spesso caratterizza la politica russa trova conferma anche nel trattamento riservato ai cittadini di religione musulmana, tanto più se si tratta di migranti economici: l’economia ha bisogno di loro, che però diventano oggetto di vessazioni. Dopo l’attacco al Crocus City Hall, la notizia dell’arresto di quattro presunti attentatori di nazionalità tagica ha acceso un faro sulle condizioni di vita dei milioni di lavoratori che dall’Asia Centrale e dal Caucaso ogni anno si riversano nei grandi centri urbani russi alla ricerca di un impiego. Condizioni spesso estreme, aggravatesi ulteriormente a causa delle decine di casi di attacchi xenofobi che stanno interessando queste minoranze negli ultimi giorni. Una situazione che in alcuni casi favorisce anche la radicalizzazione degli individui più ai margini o comunque dà linfa vitale alla propaganda antirussa e antioccidentale di movimenti estremisti come l’Isis K. 


I cittadini del Tagikistan che arrivano o che già risiedono in Russia per ottenere un salario relativamente più alto sono spesso gli ultimi degli ultimi in termini di accoglienza e disperazione. La repubblica centro asiatica è infatti uno dei paesi al mondo che più dipende dalle rimesse inviate in patria dai lavoratori migranti, pari circa al 40 per cento del pil nazionale. Spostarsi in Russia è quindi una vera e propria necessità, dettata dal bisogno di garantire un’entrata costante ai familiari rimasti in Tagikistan. Una necessità che l’anno scorso, dati ufficiali alla mano, ha spinto 1,5 milioni di cittadini della repubblica a partire verso nord. Ed è così da decenni: molto legati alla loro terra e alla loro peculiare cultura, centinaia di migliaia di tagichi furono però costretti dal crollo economico seguito alla dissoluzione dell’Unione sovietica e alla fine del sistema produttivo pianificato ad abbandonare l’Asia centrale. Un flusso ingrossatosi ulteriormente dopo la guerra civile che ha insanguinato il paese tra il 1992 e il 1997. 
Senza mai interrompersi, nel corso degli anni l’ondata di migranti tagichi verso la Federazione è salita per poi ridiscendere, come durante la pandemia: subito dopo la fine del blocco ai viaggi internazionali, l’allora vice primo ministro russo, Marat Khusnullin, si spinse a dichiarare il bisogno di assumere due milioni di lavoratori migranti. D’altronde la Russia ha subìto tra il 2020 e il 2021 il più grande declino di popolazione in tempo di pace della storia – quasi 1 milione di persone – e attrarre giovani braccia dall’Asia centrale è diventato sempre più fondamentale.


Le dichiarazioni concilianti di quel periodo sicuramente contrastano con le frasi al vetriolo in cui ci si imbatte oggi sui social media. Discriminazioni che non riducono però la forza di attrazione rappresentata da città come Mosca e San Pietroburgo, perché troppo forte è il legame che l’ex dominatore sovietico ha saputo imporre anche solo in termini linguistici con la regione centro asiatica. Agli attacchi e ai raid indiscriminati e violenti delle forze di sicurezza russe che stanno emergendo nelle ultime ore, i regimi dell’area stanno rispondendo in vario modo. Sia consigliando ai propri cittadini di non recarsi in Russia o di evitare di uscire di casa, come fatto dall’ambasciata tagica a Mosca, sia elaborando piani di rimpatrio dei propri studenti iscritti alle università russe, come starebbe facendo il Turkmenistan. Ma è chiaro che iniziative di questo tipo possono solo essere estemporanee, considerando che per la stabilità interna del Tagikistan o del Kirghizistan è fondamentale che il flusso di denaro da nord verso sud non si interrompa.


Allo stesso tempo, il presidente russo Vladimir Putin dovrebbe riflettere attentamente prima di dare via libera alle voci più xenofobe della società, che vorrebbero l’introduzione di una normativa sugli ingressi dall’estero più stringente o un approfondimento della politica di reclutamento nell’esercito più o meno forzata di cui i migranti sono fatti oggetto. I lavoratori tagichi, che non necessitano di visto per recarsi in Russia, sono infatti fondamentali per tenere in piedi numerosi settori dell’economia russa, solo per citarne alcuni quello manifatturiero, edile, della ristorazione. Il mondo produttivo della Federazione sconta una costante penuria di lavoratori, come sottolineato per esempio a fine 2023 in un report dell’Istituto di Economia russo, che indicava in 4,3 milioni gli occupati mancanti.  

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