La guerra social

Trump cambia idea su TikTok. C'entrano il miliardario Jeff Yass e la sua campagna

I repubblicani vicini al tycoon fanno lobby per salvare il social network cinese

Giulia Pompili

Nell’ultima settimana il dibattito attorno a TikTok negli Stati Uniti si è intensificato. La proposta di legge che costringerebbe ByteDance a vendere la società entro sei mesi e il rischio sulla sicurezza nazionale

“Senza TikTok si rischia di far diventare Facebook più grande, e io considero Facebook un nemico del popolo”, ha detto l’ex presidente e candidato repubblicano alle elezioni di novembre, Donald Trump, intervistato ieri dalla Cnbc. Non è più TikTok, dunque, il più pericoloso social network per gli americani. Eppure era stato proprio Trump, meno di quattro anni fa, a firmare una legge che ordinava  al colosso informatico cinese ByteDance, che controlla TikTok, di disinvestire nel social network – legge poi bloccata da un giudice federale. All’epoca Trump usava espressioni durissime contro il social network made in China, ma succedeva prima della sua vicenda personale con gli altri social: Meta di Mark Zuckerberg e Twitter prima dell’avvento di Elon Musk, dopo le violenze al Campidoglio del 6 gennaio 2021 decisero di sospendere gli account legati a Trump. Ora per l’ex presidente in campagna elettorale i nemici degli americani sono loro, i nemici della libertà di parola. Ma sembra ci sia anche qualcos’altro dietro a questo cambio di prospettiva da parte di Trump. Non è la prima volta che l’ex presidente manda messaggi contraddittori nella sua visione sulla Cina, per esempio quando esaltava il sistema di “controllo dell’estremismo islamico” nello Xinjiang e nel contenimento del Covid. Ma per quanto riguarda  TikTok  sembra che molto abbia a che fare con  una visita che Trump ha ricevuto a Mar-a-Lago qualche giorno fa: quella di Jeff Yass, miliardario conservatore che ha una fetta da 33 miliardi di dollari in ByteDance, e che ha minacciato di tagliare i fondi ai repubblicani se dovessero sostenere la legge contro TikTok.

 


La questione del social network più usato dai giovani americani dopo YouTube è particolarmente complessa: il fatto che TikTok ponga un serio problema per la sicurezza nazionale americana è un tema condiviso da repubblicani e democratici, e Trump lo ha perfino confermato ieri dicendo che “se la Cina vuole qualcosa” – intendendo i dati degli utenti – “il social network gliela darà, e questo è un rischio per la sicurezza nazionale che aumenta”. Oltre che immagazzinare dati che possono essere messi a disposizione delle autorità cinesi per via della legislazione di Pechino, il social cinese è stato accusato in passato anche di operazioni d’influenza, con manipolazioni dell’algoritmo tali da esaltare solo la narrazione di Pechino, e di spionaggio.  Nell’ultima settimana il dibattito attorno a TikTok si è intensificato: la commissione per l’Energia e il Commercio della Camera americana, giovedì scorso, ha votato all’unanimità una proposta di legge che costringerebbe ByteDance a vendere la società entro sei mesi. Il presidente americano Joe Biden ha fatto sapere di voler sostenere l’approvazione della legge, lui che nei mesi scorsi ha già vietato ad alcuni dipendenti dell’Amministrazione di scaricare l’app sul proprio smartphone. Eppure qualche settimana fa era stato lo stesso Biden a sbarcare su TikTok con un profilo ufficiale per parlare in modo più diretto con i giovani elettori, e la sera del discorso sullo stato dell’Unione decine di TikTok influencer  sono stati invitati alla Casa Bianca per assistere  all’evento. 

L’approvazione all’unanimità in commissione ha colto di sorpresa la leadership di TikTok America, che nei giorni scorsi ha iniziato una campagna martellante fra i suoi utenti parlando di “censura totale” da parte dell’Amministrazione Biden – che, come quella Trump quattro anni fa, in realtà chiede solo a ByteDance di cedere le sue quote.  Sebbene il passaggio sia significativo, il percorso della legge è però particolarmente accidentato: se dovesse davvero passare in votazione al Congresso, ci sarebbero le possibili cause legali da affrontare. 

 

In molti mettono in dubbio la possibilità che la proposta di legge, scritta anche dal deputato repubblicano Mike Gallagher, che guida la commissione ristretta della Camera dei rappresentanti sulla concorrenza strategica tra gli Stati Uniti e il Partito comunista cinese, arrivi al Senato. Il motivo? La lobby dei repubblicani trumpiani. Due sono i nomi più potenti che i media americani hanno sollevato in queste ore. Il primo, come detto,  è quello del milionario Jeff Yass, contrario a qualsiasi tipo di limitazione di TikTok in America – a settembre dello scorso anno un suo ritratto pubblicato sul Wall Street Journal lo indicava come “il miliardario che vuole tenere TikTok sui telefoni negli Stati Uniti”. Yass ha spinto la lobby pro TikTok al Congresso attraverso il gruppo conservatore Club for Growth, di cui è tra i principali donatori: da Club for Growth, secondo Politico, sarebbe stata pagata anche l’ex consigliera di Donald Trump Kellyanne Conway per convincere i repubblicani ad affossare la proposta di legge.  

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.