medio oriente

Riparte il negoziato tra Israele e Hamas. I numeri (variabili) dello scambio e "la damigella d'onore"

Fabiana Magrì

Schiacciati tra le pressioni per arrivare a un accordo e l’ipotesi di un’operazione di terra dell’esercito, i mediatori tengono vivo il tavolo delle trattative che si sposta dal Cairo a Parigi. Speculazioni e passi avanti

Tel Aviv. Schiacciati tra le pressioni per arrivare a un accordo e l’ipotesi di un’operazione di terra dell’esercito in stile Gaza City e Khan Yunis anche a Rafah durante il ramadan, i mediatori cercano di tenere Israele e Hamas ai tavoli delle trattative finché le distanze tra i due non si accorceranno a tal punto da poter gettare un ponte. Il teatro dei colloqui si sta spostando di nuovo dal Cairo – dove nei giorni scorsi è transitata la delegazione di Hamas guidata dal leader  all’estero Ismail Haniyeh – a Parigi. Nella capitale francese il direttore della Cia, William Burns, è in arrivo oggi per incontrare i funzionari del Qatar, la controparte egiziana e, si augurano gli Stati Uniti, gli israeliani. Israele dovrebbe inviare la propria delegazione, guidata dal capo del Mossad David Barnea. In questo caso, in Francia torneranno anche il primo ministro del Qatar, Mohammed bin Abdulrahman al Thani, e il capo dell’intelligence egiziana Abbas Kamel, ricostituendo la squadra di interlocutori che aveva partecipato al vertice di fine gennaio.
 

L’inviato della Casa Bianca Brett McGurk, in Israele ieri, ha informato il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, che, secondo le stime di Washington, “ci sono progressi nei negoziati per un accordo sugli ostaggi”. Il capo della Kirya gli ha risposto che Israele “amplierà l’autorità data ai nostri negoziatori di ostaggi”. Allo stesso tempo ha aggiunto che l’esercito “sta preparando la continuazione di intense operazioni di terra”.
 

La cautela su possibili svolte nei negoziati è d’obbligo, in presenza di segnali contraddittori e indiscrezioni. La notizia – confermata sia dal Qatar sia dal ministero degli Esteri francese – che Hamas avrebbe consegnato agli ostaggi israeliani i farmaci a loro destinati, come parte di un mini accordo che risale al mese scorso, contraddice in parte le circostanze delle medicine trovate dalle forze speciali di Tsahal all’ospedale Nasser di Khan Yunis. Su quei pacchetti di farmaci, alcuni scaduti o non conservati propriamente, ma sicuramente mai recapitati, c’erano i nomi dei sequestrati israeliani, alcuni poi rilasciati e altri uccisi. Dopo una settimana di ricerche nel nosocomio per individuare ostaggi (più probabilmente tracce del loro passaggio o resti dei cadaveri di alcuni di loro) e arrestare terroristi (ne sono stati fermati almeno un centinaio finora), ieri sera, secondo fonti di Gaza vicine alla fazione palestinese, l’esercito avrebbe lasciato il Nasser. 
 

Altre speculazioni sono arrivate dal giornale saudita Asharq al Awsat, che ha scritto che “Hamas ha ammorbidito le sue posizioni” per raggiungere un possibile accordo. E dal Wall Street Journal, secondo cui il gruppo islamista sarebbe disposto ad accettare la stessa condizione dell’intesa di fine novembre, cioè il rilascio di tre prigionieri palestinesi per ogni ostaggio israeliano (per un totale di 3 mila). Hamas avrebbe quindi abbandonato la recente richiesta di un extra per tutte le donne e tutti i minori trattenuti nelle prigioni in Israele ma punterebbe alla scarcerazione di terroristi che stanno scontando lunghe condanne. Tuttavia, sebbene alla tv egiziana al Ghad il funzionario di Hamas Mousa Abu Marzouk abbia dichiarato che “potrebbe esserci una svolta nei colloqui nel prossimo futuro”, nella stessa intervista, ha anche contraddetto le fonti del Wall Street Journal, sostenendo invece che, per ogni israeliano rapito, Hamas vuole in cambio la liberazione di 500 palestinesi. Abu Marzouk ha anche spiegato davanti alle telecamere che il controllo di Gaza non è un obiettivo sacro per l’organizzazione, e che Hamas potrebbe accettare un governo di tecnocrati.
 

Ci sarebbe, tuttavia, un “motivo manipolativo dietro l’annuncio”, secondo l’analista Michael Milshtein, ex consigliere per gli Affari palestinesi del coordinatore delle attività governative nei territori (Cgat) ed ex direttore del dipartimento per gli Affari palestinesi nell’intelligence della difesa israeliana. Che così ha messo in guardia gli ottimisti dal suo profilo sulla piattaforma X, dove ha postato che “il governo dei tecnocrati non è altro che una maschera” o “un nome in codice per un cambiamento estetico” per il continuo dominio di Hamas nella Striscia di Gaza, eliminando al tempo stesso la necessità di prendersi cura della popolazione e migliorando l’immagine dell’organizzazione agli occhi del mondo. Milshtein prevede anche che assisteremo a “un uso crescente di questa argomentazione” e al tentativo di “arruolare l’Autorità palestinese come damigella d’onore per una mossa che presumibilmente darà al suo leader, Abu Mazen, un punto d’appoggio a Gaza”.

 

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