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La speranza in un video degli unici bambini israeliani rimasti a Gaza

L'attesa della famiglia Bibas per i loro bambini tenuti in ostaggio nella Striscia. Nonostante gli appelli internazionali, la situazione rimane incerta e Ariel e Kfir diventano un simbolo

Fabiana Magrì

Tel Aviv. Per il mondo, quella peluria rossa, quei ciuffi pel di carota, sono diventati un simbolo. “Per noi è solo la nostra famiglia. E la rivogliamo indietro”, dice Ofri Bibas, la sorella maggiore di Yarden, il giovane marito di Shiri e padre dei due fratellini Kfir, un anno, e Ariel, quattro, tutti presi in ostaggio il 7 ottobre scorso dal kibbutz Nir Oz. Lunedì il portavoce militare Daniel Hagari, con il consenso della famiglia Bibas, ha diffuso i filmati delle telecamere di sorveglianza di Khan Yunis, puntate sul rapimento della donna con i bambini. Il momento è doloroso, come ogni giorno negli ultimi quattro mesi e mezzo “vissuti come sulle montagne russe” dal nucleo famigliare molto unito, che si incontrava ogni settimana nel week end e faceva crescere i cuginetti come fratelli e sorelle. Ofri è incinta al sesto mese e non le sembra possibile che Shiri e Yarden nemmeno lo sappiano. E si chiedono se conosceranno mai il terzo nipote. La figlia più grande ha l’età di Ariel. Il cugino è anche il suo migliore amico. “Mi chiede continuamente di lui – racconta la madre. Mi domanda perché nessuno è riuscito a trovarlo e quando tornerà. Mi chiede se è morto. E ha solo quattro anni”. Ma la risposta, finché non sarà l’esercito a fornire prove certe, non l’azzarda nessuno. Nemmeno dopo che le Brigate Khatib al Mujahidin – il Battaglione dei Santi Guerrieri, l’organizzazione terroristica nata nel 2001 da una costola di Fatah e diventata una subalterna di Hamas – a fine novembre dichiararono che i fratellini dai capelli rossi e la loro madre “erano stati trovati morti”.

 

 

Non perde le speranze, Ofri Bibas, che i suoi cari siano ancora vivi e che un accordo tra Israele e Hamas possa riportarli a casa. Ma i colloqui sono in una fase complicata di stagnazione. Nessun mediatore ne dichiara il fallimento ma tutti sottolineano le difficoltà e le distanze siderali tra le parti. Al Cairo c’è Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas all’estero, con una delegazione al tavolo con gli egiziani. Fonti aeroportuali al Cairo hanno detto all’Ansa che una delegazione israeliana è atterrata ieri mattina ma l’ufficio del primo ministro non ha voluto commentare né confermare. Intanto i Bibas rinnovavo l’appello alla comunità internazionale perché sia data “priorità al ritorno di Kfir e Ariel, gli unici bambini israeliani rimasti a Gaza”. Yifat Zailer, cugina di Shiri, al fianco di Ofri in un incontro con la stampa, si è rivolta alla stampa araba, alle comunità musulmane nel mondo e ai loro leader affinché, con l’avvicinarsi del Ramadan, esercitino ulteriore pressione sulla fazione islamica per liberare gli ostaggi. “Quello che è successo in Israele il 7 ottobre, ciò che Hamas ha fatto e sta facendo nei confronti dei palestinesi e degli israeliani, rapire e uccidere i bambini, prendere e violentare le donne in prigionia – dice la cugina di Shiri – non rappresenta l’Islam”. Al mondo chiedono di non dimenticare, non distogliere lo sguardo e non accettare in alcun modo che questa situazione, con “134 persone tenute prigioniere a Gaza nelle mani di un’organizzazione terroristica”, possa essere considerata “normale”.

 

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