Foto Epa, via Ansa

l'editoriale del direttore

La vita di Navalny ha molto da insegnare agli utili idioti del putinismo

Claudio Cerasa

Il terrorismo di stato messo in mostra da Vladimir Putin a seguito dell’invasione dell’Ucraina era perfettamente coerente con tutto ciò che il presidente russo aveva fatto fino al giorno prima dell’invasione

Le date sono importanti: bastava unire i puntini. Michail Lesin, 57 anni, ex ministro, odiato da Putin, trovato morto in una stanza d’albergo a Washington il 5 novembre 2015. Boris Nemcov, 55 anni, ex vice primo ministro sotto il governo Eltsin, critico di Putin, sostenitore dei diritti umani, ucciso con colpi d’arma da fuoco a Mosca il 27 febbraio 2015. Boris Berezovsky, 67 anni, uomo d’affari, oligarca, critico di Putin, trovato morto nella sua casa nel Berkshire in Inghilterra, il 23 marzo 2013. Sergei Magnitsky, 37 anni, avvocato, ucciso il 16 novembre 2009, dopo essere stato imprigionato a seguito di denunce sporte contro il governo russo. Stanislav Markelov, 34 anni, giornalista, avvocato per i diritti umani, ucciso il 19 gennaio 2009 a Mosca, da un uomo armato, insieme con la giornalista Anastasia Baburova, 25 anni. Natalia Estemirova, 50 anni, giornalista e attivista per i diritti umani, rapita a Grozny, in Cecenia e trovata morta il 15 luglio 2009 dopo aver documentato violazioni dei diritti umani in Cecenia. Anna Politkovskaja, 48 anni, giornalista investigativa, uccisa a colpi di arma da fuoco a Mosca, dopo aver raccontato gli abusi sui diritti umani perpetrati dal governo russo. Yuri Shchekochikhin, 53 anni, giornalista, scrittore, membro della Duma russa, morto il 3 luglio del 2003 dopo aver indagato sulla corruzione del governo russo. Alexei Navalny, 47 anni, guida dei movimenti di opposizione al Cremlino, morto il 16 febbraio.

Le date sono importanti e sono lì a ricordare ciò che in molti per troppo tempo non hanno voluto vedere, ciò che in troppi ancora oggi fingono di non voler vedere, ciò che tutti ancora a lungo hanno il dovere di non dimenticare. Le date sono importanti ed era sufficiente mettere insieme i puntini per tempo per rendersi conto che il terrorismo di stato messo in mostra da un macellaio di nome Vladimir Putin a seguito dell’invasione dell’Ucraina era perfettamente coerente con tutto ciò che Putin aveva fatto fino al giorno prima dell’invasione.

Il film della vita di Navalny – “Se mi uccideranno, non arrendetevi”, aveva detto in un appello pubblico il 25 aprile di due anni fa – è il film di tutto quello che Putin rappresenta, per il mondo libero, ma è anche il film di tutto quello che i cavalli di Troia del putinismo hanno per troppo tempo cercato di nascondere sotto il tappeto dell’ipocrisia e dell’irresponsabilità. Diritti umani calpestati, prassi democratiche asfaltate, violenza di stato legittimata, oppositori misteriosamente avvelenati.

Navalny detestava Putin, velenosamente ricambiato, ma detestava anche tutti gli utili idioti del putinismo, quelli desiderosi di usare Putin per provare a distruggere l’Europa. Odiava Putin, amava la libertà, amava la democrazia e pur essendo un nazionalista convinto nell’ultima parte della sua vita ha mostrato di avere a cuore qualcosa anche dell’Europa. “Nessuno – disse in un messaggio consegnato alla figlia Daria nel 2021, quando ricevette dall’allora presidente del Parlamento europeo David Sassoli il Premio  Sacharov – deve azzardarsi a equiparare la Russia al regime di Putin. La Russia fa parte dell’Europa e ci sforziamo di diventarne parte. Ma vogliamo anche che l’Europa si sforzi di rimanere fedele a se stessa, a quelle idee straordinarie che ne costituiscono il fulcro. Ci impegniamo per un’Europa delle idee, per la celebrazione dei diritti umani, per la democrazia e l’integrità”.

Tre anni dopo Navalny non c’è più ma l’Europa desiderosa di difendere la democrazia, i diritti umani, la libertà e la società aperta fa fatica, a volte, ma è più viva di prima, ha scelto di stare dalla parte giusta della storia, ha scelto di chiamare le cose con il loro nome, ha scelto di fare tutto il possibile per combattere contro un criminale di guerra di nome Putin ed è lì a dire alla famiglia Navalny che loro lo hanno ucciso ma noi abbiamo imparato a mettere in fila i puntini e siamo qui a dire, prendendo per le orecchie anche i vecchi utili idioti del putinismo, che di fronte a un terrorista di stato non ci vogliamo e non ci possiamo arrendere.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.